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La complessità di quest'opera, pur limitata
nel numero delle pagine, non ci permette di fornire al lettore interessato, nel
breve spazio di una scheda, un'analisi complessivamente omogenea sulle strutture
formali e contenutistiche dei singoli testi, anche se il nostro sguardo non si è
proprio del tutto smarrito nel labirinto poetico-espressivo plasmato dalla
Ugolini. La prima parte del volume (Spettacolo) ha come protagonista il
Teatro, sic et simpliciter, inteso qui come mise en scène di un'intera
esistenza nella quale l'autrice/attrice punta a realizzare «l'immaginario nel
teatro | invece di sognare una realtà | che è casa ben diversa nel molteplice».
Figura chiave della scena risulta essere la "marionetta" («Capelli di rade
radici. | Candore sul cranio candore | che dentro sinapsi scolora. | Gli occhi
di giada in lunette | più acuti e il naso di Gogol | s'è perso nei nasi | [...]
| Le spalle stondate, le grucce, | l'esofago vive di corde, si svincola, | vive
di corde corrotte» che per una (casuale?) coincidenza compare anche nelle versi
di madre future, quasi a voler dare vera sostanza all'immagine dell'attore quale
intermediario tra il mondo spirituale, ove ogni rappreseatazione è possibile, e
la pura dimensione terrena («L'odore del ritmo travolse | la giovane madre,
l'attrice che doppia nel seno | portava un foturo al passato (presente) che la
dilaniava. | Percepì nell'incavo d'un cumolo d'anni | l'umana domanda, l'ironia
dell'errore, le mille facce | di maschere e la Verità sconosciuta [...] In
Marionetta sentì che mutava | forgiando l'essenze e sul cammino presente |
comprese la forza che dentro più di lei | operava Natura»). Interpretare un
ruolo, essere qualcun altro (sia pure per un breve istante) significa quindi
avere l'occasione non solo di riprodurre una della innumerevoli maschere che
albergano naturalmente in noi, ma anche di cogliere in sé il sussulto
incontrollato dell'Altro, poiché «Il Teatro è un traslato tra inconscio e
ragione | che approda da un altro da te, che in te trasale».
La seconda parte (Palcoscenico) è
invece costituita da sei monologhi, cinque dedicati ad altrettante protagoniste
del mondo classico (Ecuba, Andromaca, Ifigenia, Euridice e Penelope) e uno a
Lady Macbeth. Notevole sugli altri quello riservato alla moglie di Ettore, se
non altro per le evidenti connessioni con le tematiche di Spettacolo
(l'attrice/madre destinata in ogni caso a un ruolo tragico: «Io son la madre
giovane di doglie | la tigre disarmata | l'indomita al dolore che la schianta. |
[...] | Questa madre che s'odora nelle guance del figlio | vapora nel suo latte
| mentre scompiglia il tempo a lungo a lungo | nel cullare di braccia
sconfinato. | [...] | Nel giaciglio più accanto, accomunato, | una nenia
d'incanti e ti sopisco. | Viviamo dentro il lungo d'un minuto | lo strappo del
sordo precipitare | ripetuto nello spazio del tempo. | L'attonita domanda è fuor
di me | senza risposta alcuna dal dirupo? | Dammi una prova, uomo, che ora
troppo brilla | nelle tue mani la possibilità del buio,,,».
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Recensione |
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