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Postfazione a
Figura e parola
di Giuseppina Rando

Cierre Grafica, Verona 2005.

Ida Travi

In esergo Figura e parola, raccolta poetica di Giuseppina Rando, rimanda a un verso di Celan in cui l’anima è nell’etere …’tra soli scagliati a raggera ‘ e ci indica uno stato tra spavento e meraviglia.

Ma ancora più profondamente una seconda citazione, un verso di Ingeborg Bachmann, immette in una poetica da sussulto : davanti a noi si staglia un forma umana una poetica misteriosa che si preme una mano sulla bocca : “Non varcare le nostre labbra | parola che semini il drago | …”

Ingeborg Bachmann ci ha avvertito: la parola che semina il drago è nella nostra bocca, meglio tenerla chiusa. Se però sfugge, sembra dire Pina Rando, non resta che accoglierla e trasfigurarla, accostandola inscindibilmente a figura. Figura e parola vanno insieme, le due si comprendono. Figura precede parola d’un passo e la trascina di peso (lei, la leggera!) andando la lascia tacere, la fascia di mondo poeticamente.

Cosa c’è nel mondo poetico e silenzioso di Giuseppina Rando?

C’è un esule balbettante, una figura piegata nel vento, un naufrago nel suo delirio.

La scena poetica che si apre mostra un’immagine per volta. Una sola figura scorre man mano al centro della scena , e sullo sfondo c’è un mondo di cenere, indistinto.

Davanti alla processione di figure e davanti agli occhi di chi legge, si oppone un altare, si vedono “vesti bianche come gabbiani | su un’urna marmorea”. Questo altare è un fulcro, il suo alone tragico mantiene ogni figura al centro.

E’ così che questa raccolta poetica allestisce il suo spazio: sopra, sotto, in alto in basso, davanti, dietro. Figure e cose, respiri, vanno e vengono ma nessuna parola viene pronunciata, il teatro rimane muto. Niente e nessuno vuole entrare nella storia: le figure al centro sembrano stanche d’una stanchezza incurabile, reduci da una apocalisse esistenziale, senza nome, senza luogo di nascita, nel vento. L’infedele memoria porta cigolante | apre sull’assenza…

Il vento infatti singhiozza, gli uccelli sono senza presagi. Eppure… Come quando una tenda si scosta mossa da una mano che non si vede. la scena mostra un chiarore imprevisto, come un’alba che risorge da un disastro. Chi l’avrebbe detto: un altro giorno! Un altro giorno che vuol dire ancora vita…”nelle secche foglie al vento | nella cenere delle ossa | indelebile segno | la parola dell’essere: √ivere”

E’ successo qualcosa dopo il disastro, qualcosa che non si fa vedere. E’ ancora Amore davanti al quale “il nudo sapere è nulla e come ombra scorre via”

Giuseppina Rando, non ha dubbi: il sapere è nudo, è un’ombra trascinata via dalla corrente delle cose così come stanno. E le cose stanno nell’afflizione, nello “spazio vuoto | sotto la trave marcita”. Le cose e gli esseri stanno lì, sottilissime, ‘come ombre del pensiero’ sono ridotte quasi a nulla, e non vogliono parlare

Il dilemma della cieca lingua
con laccio d’acciaio ci lega

oltretomba bianco
sete che nasconde
ferita e nega sangue

nella vitale statica identità

Che cosa porta, allora, nel silenzio, alla favola di ieri, come fosse un miracolo? Leggendo queste poesie troverete un punto in cui le tenebre si capovolgono , come tornassero indietro lasciando il nero orizzonte.

Tornano indietro e disperdono fantasmi e larve | nei doveri del mattino. Lo fanno, ma lì, nei doveri del mattino c’è una luce semplice che procede senza armi, più forte di qualsiasi guerriero. Lì nei doveri del mattino c’è la favola di ieri, la favola eterna della sera prima. E’ la favola su cui poggia la notte e l’intero giorno, perché la favola che ci addormenta è la stessa che ci sveglia, in lei c’è la resa delle tenebre alla luce, c’è la verità delle due parti in lotta. Accade ogni mattina all’alba. Con ‘parola’ e ‘figura’, la poesia racconta questa resa quotidiana, questo scontro.

L’esito di questo scontro, è disperso nei versi, come disseminato: ogni poesia è franta, scomposta,. Per entrare in questa poesia e trovare nel silenzio la sicurezza e la fragilità di un nido, bisogna incamminarsi fra i versi non solo avanzare nella pagina. E’ necessario accettare i vuoti di parola. Ogni pagina è così.

E così, nella scena profonda che accoglie l’insperata resa delle tenebre alla luce, scena in cui di nuovo nessuno parla: si fa nulla ogni voce, e il mondo sembra a pezzi.

Eppure… a ben guardare la poetica di Giuseppina Rando è tutta raccolta dentro un rito quotidiano e il rito quotidiano ha un che di eterno. In questi versi qualcosa di rimosso si aggira per un’ eternità lungo l’usata strada, qualcosa che non si può dire perché sta sotto sotto, giù nelle bocche dei mostri, qualcosa che non si può dire perché sta sotto sotto, giù, nella bocca dei buoni, dei piccoli.

Non si può dire, però all’improvviso, salvifico, nella notte sempre più notte | nella scienza sempre più scienza…divampa il verbo dell’anima: Fede, mia folle ebbrezza.
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