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Ruffilli scrive di prigione e droghe con garbo distante
La sua raccolta poetica spesso coglie il segno, ma trasporta scorie di stereotipi. E il prefatore si è distratto

L'ultima raccolta di Paolo Ruffilli si intitola Le stanze del cielo ed è divisa in due parti, su carcere e tossicodipendenza (ma la prima è preponderante). I punti di forza di questo libro mi sembrano due, anzi tre: 1) la continuità e l'armonia nel tema, a conferma del fatto che i'autore – cosa rara in Italia – è capace di costruire libri intorno a un nucleo tematico sviluppato e sviscerato; 2) il linguaggio molto semplice ma non piatto, che definirei "iconico" poiché capace di rappresentare ciò di cui parla nei suoi tratti essenaiali, quasi stilizzandolo come in un'icona; 3) la capacità di parlare chiaramente e fruttuosamente a un pubblico vasto, date le caratteristiche 1) e 2).

Queste mi sembrano buone cose, davvero.

I punti di debolezza mi sembrano invece due: 1) si tratta comunque di una rappresentazione dall'esterno, voglio dire dall'esterno del carcere, da quel tipo di esperienza reale; leggendo non sapevo se l'autore ne avesse avuto un'esperienza diretta e non importa in fondo gran che, il punto è che ho avvertito l'impressione di una costruzione a tavolino, non al fuoco dell'esperienza – sarà che occupandomi professionalmente di diritto vedo molte sfumature e cornplicazioni che magari al pubblico in generale non interessano; 2) la costruzione dall'esterno comporta alcuni stereotipi, come il tema dell'individuo contro la società, anche se Ruffilli sta bene attento a non farne un facile gioco di "individuo buono" contro "società cattiva".

Non so fino a che punto gli stereotipi rientrino nel discorso iconico di cui sopra o dipendano dal fatto che qualcosa di tale realtà è sfuggito all'autore; se io dovessi scrivere sul carcere oggi, ad esempio, non utilizzerei (solo) il pedale dell'io che chiuso nella cella pensa alla propria condizione fisica e morale, ma guarderei (anche) alle dinamiche sociali che vi si svolgono, al fatto che le carceri italiane sono piene di immigrati che a volte non capiscono bene perché e a volte fanno finta di non capire e fanno le vittime, al fatto che ci sono i mafiosi che è come se non ci fossero, al fatto che ci sono i Fabrizio Corona, i Del Turco, i furhetti, gli sfigati, i recidivi, ecc.

Quale caleidoscopio è una prigione! Senza dimenticare che ci sono anche i bruti veri (non quelli da libro). Sulla tossicodipendenza, poi, noterei che la nuova droga è sintetica: non l'eroina che divora il corpo e a cui pensa it Ruffilli nato nel 1949. In uno scambio che abbiamo avuto, l'autore ha replicato alle mie perplessità dicendo di non essere uno scrittore realista, di non preoccuparsi di fare cronaca, di non descrivere i luoghi dove è stato, ma di raccontare sempre quelli dove non è stato: di "usare sempre l'immaginazione".

E può andar bene così, ma gli stereotipi sono sempre in agguato. Qualche esempio? «Vecchie fortezze scure | di castelli antichi | per far scontare | i loro errori a noi | rifiuti dell'umanità» (Fortezze); «ciascuno circondato | dalla privazione | della propria libertà» (Centinaia); «come un lepre | dentro la gabbia | digrignando i denti | spellandomi le dita | nel graffiare i muri | e guardo lassù in alto... | ma forse anche il cielo | è fatto a stanze | e non si può abitarne | più di una» (In gabbia). Altrove (lmpiegati), c'è più complessità e approfondimento sui ruoli delle figure coinvolte. Mentre fra i meglio riusciti trovo questi versi, che danno veramente un senso di chiusura: «Non sei più vivo | eppure ti stupisci | che non muori» (Parole).

Giudicheranno i lettori se il tentativo di Ruffilli sia riuscito o manchi di presa. Certo che alla lace di quanto mi ha dichiarato diventa curioso leggere quanto ha scritto Giuliani nella prefazione, dove parla di «inclinazione a oggettivare i dati soggettivi» e capacità di «calarsi nella soggettività degli altri», sostenendo che «Ruffilli, istintivamente, mette sempre in rapporto ciò a cui dà voce con il contesto sociale di cui si muove e parla». Ma come?

Recensione
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