I due incipit all’inizio del libro di
Confucio e Levinas offrono la strada ad una visitazione interiore che inizia con
la sezione puntini puntini. La scrittura di Lino Angioli, densa di
parole essenziali, costruisce concretamente case di parole dove il quotidiano si
disarticola nel solido senso. L’edificio che via via si racconta
frammenta il dire in un rimando a specchio d’esperienze e pensiero, in un puzzle
che è vita e cultura. Il commento etico fa l’altro cammino tra io e me
mentre la vista osserva l’incomprensibile. La salvezza viene quando un odore
di cipolla svicola dalla finestra e se ne va nastreggiando…e allora
all’improvviso si respira un tepore di stalla quanto basta…
E così la fragranza di un viaggio a
trapassare il tempo…verso il Dio enorme e taciturno con le fiducie
nell’alloro s’inizia ad accompagnare il lettore nel paese dell’anima sognato
nell’altro altrove, per fortuna. Ritrovo in mezzo a tanti pupazzi di
pezza un’interpretazione condivisa e mi inoltro nella seconda sezione:
“pensieri di donna” dedicata a Beatrice, Chiara, Dulcinea, Felicita,
Francesca, Ginevra, Isotta, Laura, Silvia, Maria. I testi innamorati del Mito
ridisegnano i personaggi nella luce tramandata in un mezzo cosissia.
La sezione un giorno l’altro si
sveglia nel rituale del mattino mentre la radio grida cambiando l’ordine dei
malfattori il risultato del circo non cambia. La ricerca sul bordo del
giorno dal largo delle sue braccia è continuare nell’ Arca il viaggio
verso la salvezza dal diluvio per non restare solo con un harem di
marionette. Mi faccio un’alba, un silenzio,
un’arca, una compieta, una poesia, un sogno, un destino, come dico io… mi faccio
una rima che finisca in Dio.
Fin dall’inizio la pregnante religiosità
si svela in ossimori fino a colmarsi nella sezione Novene nella quale ci
inoltriamo con curiosità e a pag. 71 ecco un esempio:
Invano sfoglio dizionari
quasi fossero margherite
tra i petali pardon tra i fogli
vorrei scovare una parola
svestita senza niente addosso
nemmeno qualche finta foglia
ma non c’è verso d’adocchiarla
forse sarà solo esistita
in fondo all’antro della voce.
Questa “novena” non completa il libro ma
per una vicinanza di pensiero mi sembra che si meriti il posto di commento
finale mentre, ad avvalorare la frase L’inconscio ha una struttura
linguistica, l’intarsio del dialetto completa l’opera.
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