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Fare ammuina è
espressione tipica della lingua napoletana, ma non ha derivazioni popolari:
proviene, addirittura, dal gergo della marina militare borbonica. Nella
sostanza, significa una cosa ben precisa: mostrarsi indaffarati e dediti ad un
compito quando, in realtà, non si sta facendo nulla, ma si deve farlo credere
allo sguardo di un osservatore (o ispettore) giunto d'improvviso. Quale miglior
metafora di questi tempi nostri in cui tutti ci troviamo presi nel vortice
della quotidianità, sentendoci quasi obbligati ad apparire industriosi, quando
forse è tutta un'insensata ammuina per nascondere un'inerzia senza scopo. Poco
importa, allora, che la manovra diversiva in molti casi non abbia intenzionalità non presenti la malizia di chi mette in atto una frode
consapevole, ma sia insita nel nostro stesso adattamento istintivo alle
circostanze: anzi, forse così è ancora peggio. Tra ignavia, vigliaccheria e
alienazione, davvero, non si sa cosa sia preferibile.
Rossano Onano si
conferma, come da venticinque anni a questa parte, il più geniale dei nostri
poeti: fedele ad uno stile oggettivo e antilirico, dove l'io dell'autore sembra
davvero non entrare mai, ma anche tagliente all'inverosimile, senza per questo
apparire cinico o beffardo: non è un giudice spietato, anzi il suo sguardo ha
qualcosa di misteriosamente compassionevole senza, con ciò, scadere nel
compatimento. I suoi libri, tutti importanti in egual modo (e Ammuina non fa
differenza), sono quanto di più vicino possibile si possa immaginare a poemi
costituiti tramite frammenti d'ampiezza variegata, ora minutissimi ora ampie
lasse. E, presi uno ad uno, tali libri sono a loro volta sezioni (in senso
letterario, ma anche anatomico e fisiologico) d'un potenziale iperpoema del
quale non si scorge la fine ne si possono dire i contorni, ma solo l'evidente,
enigmatica coerenza. Entrano così sulla scena, un vero teatro del mondo, i
personaggi più disparati, alcuni tratti dalle cronache (da Amanda Lear al
ciclista gregario Bruseghin, dal calciatore Pessotto a Monica Bellucci a Maria
De Filippi... no, Onano non li accusa di fare ammuina, non accusa nessuno, ma
descrive una bolla che tutti ci ingloba) mescolati a rettili e canyon e bisonti,
cerimonie di premi di poesia in località labirintiche, visioni di scomparse e
migrazioni, animali quali il riccio "che tenta la traversata | verso la sponda
ignota, come tutti" e un'auto lo travolge, microstorie come quella della
giovane Alissa e della sua educazione sentimental-sessuale, potenziali
sceneggiature felliniane, amori che in realtà sono pozioni "da somministrare a
tradimento", donne che si rivelano essere qualcos'altro (ma il libro si chiude
su un sorriso, quello di una Eva ad un uomo, per l'"unico rito possibile perché
la storia | continui"). Patchwork di mille storie, di esistenze scomparse, di
tracce perdute, dove "il problema non è tanto di corredo | il problema è
comunque un orizzonte": una condizione che unisce l'uomo condannato che non osa
una preghiera ma invoca "una minima sosta | del pensiero, almeno, come un
saluto | militare, senza lacrime, calmo | la sera, sull'avamposto militare" e
l'apostolo Tommaso che dice "io almeno | so che la partita si gioca dopo il
canto | del gallo, sulla carne", ma invitato alla mensa risponde con sospetto e
diffidenza. "Come piace a tali persone d'essere uccellate | (...) | cosa sanno
della bellezza?" si chiede il pittore, intento all'opera nella sua bottega; né
manca qualche scenario di sapore caproniano ("Mi avvalgo della facoltà di
rispondere | dice l'imputato, inutilmente. | L'aula è spoglia di mobili, vasta |
e vuota, anche il giudice è assente").
Di fronte a tanta ammuina "immobile come
sempre si muove il mare", sostanzialmente indifferente rispetto alle "sciagure
umane" di foscoliana memoria, e anche l'atteso ispettore sembra in realtà non
esserci: "questa nave è una specie di avamposto | inutile, una verticale
follia", nuova versione della fortezza che di fronte al deserto attende l'arrivo
dei Tartari, poiché del resto "non era poi così male l'attesa". Una poesia,
quella di Onano, contemporanea quant'altre mai, che certamente sarebbe piaciuta
a Ionesco — e piace a noi, se non si è capito — per com'è fitta di Godot che non
arrivano e d'altri fin troppo presenti. A molti invece, particolarissima com'è,
forse crea disagio: ma certo sa quel che dice e, inimitabilmente, come dirlo.
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Recensione |
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