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Non stupisce che un libro come questo abbia ottenuto un riconoscimento per
l'originalita; nemmeno sorprende che un poeta, saggista e traduttore di
formazione statunitense come Adeodato Piazza Nicolai lo abbia preso a cuore al
punto non solo di prefarlo (in maniera ottima) ma anche di volgerlo in versione
inglese, pubblicata a fronte dell'originale italiano. La nuova raccolta di
Luigina Bigon è, per l'appunto, un'opera originalissima e dall'anima
anglosassone, anzi proprio americana. Questo secondo aspetto è insito nello
stile della scrittura, la quale trova — assai più che nella nostra tradizione —
possibili riferimenti e modelli nella versificazione narrativa e prosodica
caratteristica della poesia novecentesca e contemporanea d'oltreoceano: in
altre parole, Luigina Bigon sembra (specificamente in questo libro) un poeta
americano assai più che italiano.
Il modo di collocare l'io del soggetto
osservatore, che è sulla scena ma la esamina più che farne parte, la descrizione
asciutta anche quando insiste sui dettagli, il sostanziale distacco emotivo (da
non confondersi, però, con la cinica freddezza) sono ulteriori elementi che
rendono questa poesia differente rispetto ai canoni cui siamo abituati
all'interno dei nostri confini. Originale dunque per tutto questo, ma
originalissima per il tema o, più precisamente, per la costruzione da cui il
tema scaturisce. Di cosa parla l'autrice? Di due differenti viaggi, l'uno
assolutamente ordinario come può esserlo una vacanza in una nostra
frequentatissima località balneare, l'altro esotico e di scoperta verso luoghi
del mondo ai più tuttora misteriosi. Entrambi li ha vissuti e di entrambi ha
scritto: avrebbe potuto trarne due capitoli d'uno stesso libro, o di libri
diversi, scrivendo così delle brevi sillogi di viaggio come fanno abitualmente
scrittori e poeti: ne staremmo parlando ugualmente, perché anche così sarebbero
esiti di valore. Il colpo di teatro, con felicissima intuizione, è stato quello
di sovrapporli e intrecciarli: i due viaggi sono in questo modo diventati
tutt'altra cosa e Luigina Bigon è riuscita nell'arduo intento di scrivere un
libro il cui tema effettivo e profondo non sta nel suo contenuto diretto, ma ne
scaturisce.
Di cosa parla,
allora, davvero l'autrice? Non di una spiaggia e non (soltanto) di Pechino e
della Cina, delle quali pure ci dice con ampiezza di informazioni. In realtà ci
parla del tempo e dello spazio, dello slittamento continuo tra passato e
presente, dell'intreccio esistenziale tra identità e destini (riferiti tanto ad
individui di luoghi diversi quanto al medesimo soggetto in momenti differenti),
del rapporto tra esperienza ed eventualità, degli equilibri e squilibri
personali e sociali, del contrasto tra senilità e giovinezza ("il vento mi
gonfia il pareo | vela e lusinga. | Ma quel vento senile che soffia sui corpi | già dice della polvere che ci porta via" ), dell'intersezione materiale e
psichica tra piani di realtà... ci parla, a leggere bene, dei significati ultimi
del nostro vivere su questa terra, evocando la dimensione della trascendenza
anche senza mai chiamarla direttamente in causa. Molti validi poeti affrontano
temi simili ma, come dire?, ne dicono direttamente: questo libro, più
sottilmente, suggerisce al lettore un varco e una prospettiva inediti.
Chi vorrà potrà fermarsi alle notazioni colorite e gustose, all'ironia divertita,
all'arguzia delle considerazioni, all'inventiva delle immagini e ne sarà,
comunque, ben ripagato: andando oltre, seguendo la direzione suggerita dal
titolo (parola densissima di significati, tanto in metafisica che in fisica, ma
non è questo il luogo per affrontarne le implicazioni), scorgerà un altro
orizzonte. Come è accaduto all'autrice ("ero sulla soglia | dell'abbandono
quando d'improvviso | sentii una spinta irresistibile | venire da lontano"),
perche "A volte basta una sola sfumatura | e la storia cambia significato".
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Recensione |
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