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Chiunque si sia
mai avvicinato anche ad uno solo dei numerosi libri di poesia pubblicati da
Rossano Onano a partire dalla metà degli anni Ottanta ne porta impressa una
fisionomia che, nel nostro panorama letterario, appariva unica sin dagli
esordi e permane unica oggi. Tutte le opere dell'autore emiliano sono
infatti caratterizzate da uno stile personalissimo che, in oltre due
decenni, non ha avuto necessità di sottoporsi a particolari revisioni o
rinnovamenti: una cifra di ricerca linguistica e prosodica che sa ricondurre
a misura le più diverse espressioni, ed escursioni, di una scrittura
immaginifica e prensile, abituata ad accogliere e rifondere intuizioni e
sollecitazioni provenienti dall'osservazione della realtà non meno che dal
mito e dalla letteratura. Una fusione tra esperienza e conoscenza, quindi,
nel quale gioca certo un ruolo non secondario la dimestichezza con i
labirinti della mente umana (l'autore è medico psichiatra), apparendo ogni
poema anche una sorta di
esplorazione dei recessi nascosti dell'articolato rapporto tra la psiche umana
e il mondo.
La coerenza formale si accompagna, peraltro, ad una
potentissima capacità di ideazione che rende ogni titolo di Onano (concepito
sempre come un piccolo poema) capitolo naturalmente collegabile ai
precedenti e, nel contempo, esperienza assolutamente nuova e a se
stante. Tale considerazione vale anche per questo recente volume, molto
bene introdotto da Anna Ventura, nel quale il poeta prende spunto dal
personaggio di un celebre dipinto per gettare uno sguardo sul destino umano:
le lasse di cui il libro si compone, alternandosi brevi lacerti a testi
articolati fino alla dimensione (in un caso) del poemetto autonomo,
rappresentano una sorta
di analisi che, prendendo avvio dalla condizione di fondamentale solitudine,
visualizza quadri dove tale condizione viene esemplificata da incontri privi di
un autentico contatto e rapporto, circostanze di sottile conflittualità e
soggiogamento, enigmatica assenza di comunicazione e comprensione nel rapporto
tra i sessi e con i propri simili: un panorama che non raggiunge il pathos della
disperazione ma certamente ha il crisma della desolazione (in tutta l'opera di
Onano può percepirsi, a nostro giudizio, un retrogusto eliotiano e della sua
Waste Lami) e, tuttavia, contiene anche un riverbero di possibile riscatto, di
tenerezza e di compassione per un destino che è comunque comune.
Ci rendiamo tuttavia conto di come un simile riassunto non
renda neppure in minima parte giustizia alla larghezza immaginifica e
conoscitiva della scrittura dell'autore, che va indagata pagina per pagina
affinché possa esserne colta l'effettiva extra-ordinarietà (ragion per cui
anche ogni citazione estrapolata dal contesto diviene priva di significato, come
voler descrivere un arcipelago sradicando da un'isola una singola palma). Cosa
inibita ad una semplice recensione, che vuole tuttavia esplicitamente invitare
ad accostarsi ad un autore che ha saputo e sa declinare la forza della poesia
in modo certamente non convenzionale, ma che sotto l'apparenza analitica e
"fredda" nasconde un profondo coinvolgimento nella dimensione emozionale
caratteristica di ciascuno.
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Recensione |
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