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Sparire in silenzio ritrovando il vento delle strade
Non c'è prefazione
in questo libro, ma una toccante postfazione sì, di pugno dell'autore: una
meditazione sulla poesia che potrebbe sussistere anche come piccolo saggio
autonomo, fitta di citazioni esplicite ed implicite da poeti amati, in forma di
versi o di possibili definizioni. Emily Dickinson, soprattutto, con la sua idea
di una poesia come viaggio praticabile da chiunque, anche dai più poveri, "tanto
semplice e la carrozza che trasporta l'anima umana". Non citiamo oltre perché il testo, pur di otto pagine appena,
densissimo e analizzarlo richiederebbe eccessivo
spazio. Ma vi si trova, opportuna, la spiegazione del titolo della raccolta, che
e il distico conclusivo di una poesia (probabilmente la sua ultima) scritta da
Nicolas Bouvier nel 1997, poco prima di morire prematuramente e già conscio del
cancro che lo uccideva: poeta e viaggiatore, quei suoi versi alludono ad un
viaggio che non avrà più tempo di fare, ma che dovrà compiersi "in un altrove
diverso". Ecco, lo spirito del libro di Bartoletti e proprio qui, in questa "cupio
dissolvi" che nondimeno nutrita non di
disperazione, non di disprezzo delle cose, bensì di un senso di liberazione che
contiene in sé l'intera liberta del mondo, quella incarnata e suggerita dal
"vento delle strade".
Un libro che si nutre di misura, equilibrio, sapienza e il
cui discorso prende avvio da un'aperta meditazione (in versi) sul senso della
parola scritta, su come "il canovaccio nudo dei pensieri" assuma forma compiuta
e condivisibile, confidente e grato verso quanti ci hanno preceduto poiché "la
scrittura è figlia di letture" e "la parola e ascolto, | scultura del silenzio,
eco". Noi abbiamo seguito e seguiamo, alai ci seguono e ci seguiranno.
L'atmosfera è avvolta da una tonalità crepuscolare, malinconica e pervasiva, e
l'idea ricorrente è quella della strada che resta tra partenze, porte che si
chiudono, piogge e ombre invernali, lampade fioche mente si manifestano i primi
malanni, i piccoli segnali del declino, le dimenticanze e i presentimenti, con
gli amici che iniziano ad andarsene e le memorie che sbiadiscono, oppure
mordono l'anima.
Al libro sembra sottesa una domanda: se tutto corre verso la
fine perché scrivere, perché continuare a farlo? Forse perché "la morte non
cancella, non rimane | che quell'andirivieni di pensieri, | la sabbia che si
spiana alla marea" e con gesto istintivo "le labbra si aprono alla voce", ed
è
bellissima e riassuntiva questa immagine: "Ormai sono più i morti | e la
Santina li vede tutti e li conta | mentre vanno, ella che ha cent'anni | e
ancora legge e parla | di quello che sara dopodomani". Disseminata di liriche
purissime ("Anche se sei partita", "Sulle tombe cresce l'erba", "Se dovessi io
morire prima di te", "Se fosse già domani la partenza", "Eravamo noi poveri")
che rappresentano vertici a sé, tuttavia la raccolta vive sulla sua compattezza,
sulla coerenza degli argomenti, sui continui rimandi tra i testi,
sull'intreccio delle suggestioni. "La poesia non è canto o consolazione, è un
naufragio senza fine e forse, alla fine, è anche resurrezione" dice ad un tratto
Bartoletti, e dunque "leggere si, imparare, crescere ancora" pur nel tempo e nel
grembo dell'ultima attesa, preparandosi "per altre immensità, per altre vite".
Lo sguardo abbraccia i luoghi abbandonati, sentendo che in fondo la morte "non
è la partenza, è questo mancato ritorno", ma la memoria e anche (foscolianamente)
ricordare con affetto chi non è più, "mi dona questa eterna giovinezza | il
senso di un eterno raccontare" (quale sara il soggetto?). Persiste quindi "una
piccola luce, ancora un segno | tra forme oscure e uomini che vanno" e, per
quanto ci si possa sentire scompagnati e fuori luogo, si è comunque invitati,
"col bicchiere | colmo a meta, come si addice | a un amante discreto". La
memoria non è nemica ma alleata, "sorregge le parole, | e le nutre, dando
ad esse | il senso della vita, | la radice di ogni verità". Forse il meglio
è
trascorso nelle soste, nella periferia "al confine tra l'essere e il non
essere", e rivive adesso nella dolcezza dei ricordi, quelli in cui c'è un
padre con il "riso da buono" o gli altri nei quali, nonostante molti siano
partiti, "l'amico più caro ancora sorride". Il tempo recide, non cancella e
soprattutto non vanifica quel che è stato: fuori fa buio, ma "una luce è già
accesa" e "ogni cosa perduta fa ritorno". Il libro si chiude così, sulla soglia
che non si può esplorare a piacimento, sul limite prefigurato e inaccessibile al
pensiero:ma è una di quelle chiuse oltre le quali davvero si apre un nuovo
cammino, e non è un cammino nell'Ade.
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Recensione |
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