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Sussurri del cielo e mormorio dei numeri primi
Sapevamo come Filippo
Giordano, apprezzato poeta, coltivasse anche lo studio della scienza matematica.
Ma questa sua ultima opera, una raccolta di versi nella quale poesia e
matematica sono indissolubilmente unite, ci arriva con la forza di una sorpresa:
per la sua originalità inconsueta unita all’esito letterario persuasivo. Le
ventisei poesie del libro rappresentano, anche nel linguaggio, una cavalcata
nell’intelletto e nella conoscenza, ma non trascurano l’emozione del sentimento.
I cinque “sussurri del cielo”, dunque, rappresentano l’ipotesi: contemplando
l’universo l’autore si chiede se la sua maestosa ingegneria, dalle vastità del
cosmo alla biologia della vita, sia figlia del Caso e quindi del Caos: “è
gonfio di silenzi il Tuo respiro”, dice rivolgendosi a Dio, “oppure parli una
lingua universale?”.
L’ipotesi di Giordano
è che questa lingua–codice universale sia racchiusa nell’enigmatica natura dei
numeri primi e che questi, dunque, siano la chiave per dimostrare – in senso
logico matematico - l’esistenza di un progetto divino. Perché i numeri primi,
ovvero i numeri che –usiamo consapevolmente una terminologia impropria e
semplificata, per farci capire da tutti– non sono interamente divisibili per
nessun altro al di fuori di se stessi, possono essere molto piccoli (due, tre
cinque, sette…) ma anche infinitamente grandi, senza che nessun matematico al
mondo abbia finora compreso quale regola costante governi la loro frequenza: più
si fanno grandi, più i numeri primi diventano rari, ma (come già postulò
Euclide) non scompaiono mai del tutto, sono insomma infiniti. Giordano, come
detto, ipotizza che in questa regola sconosciuta stia la chiave per dimostrare
l’esistenza di Dio e, in questo suo libro, getta le basi della sua teoria,
esponendola in versi. Genio, presunzione, follia?
Partendo dall’antica
filosofia greca, Giordano risale alle origini, quando “prima del principio era
lo zero”, il Nulla, “buio senza corpo e senza idea”. Da questo zero,
misteriosamente scaturì l’“essere primo”. Questo “uno”, inteso come
numero, è presente in ogni altro quale sua componente di base, con la differenza
che i numeri primi contengono esclusivamente l’Uno e se stessi, i numeri
composti contengono anche altri numeri. “Partendo dal vuoto del niente
assoluto, | fece un passo e si trovò Uno. | Si guardò intorno e meditando |
sulla immensità del nulla circostante | realizzò l’idea di variegare il mondo.
|| Fece un passo | a sé commisurato, | e raggiunse un altro spazio informe. |
Come vi mise piede e impresse l’orma | subito nacque il Due”. Due farà lo
stesso e nascerà Quattro poi Sei… Riportiamo la conclusione: “eccolo, quindi,
il segreto mai svelato | ai matematici di tutti i tempi andati: | stanno i
numeri dentro la corolla | che circonda ogni numero al quadrato”.
Una dimostrazione semplice e intuitiva, che Giordano comprende non potere essere
accettata da università e accademie. “Non dite loro che l’universo
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asimmetrico dei numeri primi | dimora dentro | un perfetto quadratico universo |
di numeri interi e naturali | che s’innalza verso l’infinito | secondo uno
schema triangolare | e che da questo Logos | dal fiato primordiale | l’intuito
della poesia | e la grazia della pazienza | elevano un nuovo altare a Dio”.
La poesia conclusiva, in realtà un poemetto in cinque parti, è la più lirica e
ne controbilancia la speculazione. Vi ripercorre la nascita del cosmo e dei
pianeti, osserva la comparsa della vita e dell’uomo. Non fu il Caso, ma il
soffio dello Spirito che regolò il disegno dei cicli naturali e con essi “il
ciclo di esistenza degli umani”: cicli “gravidi | di semi per cicli
successivi”, che allungano il tempo della vita, come perenni sono i cicli
dei numeri primi in quella che definisce “sinfonia stellare”. L’ultima
pagina si fa esplicitamente teologica e dantesca: “Dio è sorgente di luce che
abbaglia | tanto intensamente da impedire | la diretta visione dello Spirito, |
così soltanto la riflessa luce | che Egli emana | indirettamente a Lui conduce”.
Ci si può chiedere, alla fine del viaggio speculativo, filosofico e teologico,
perché Giordano abbia scelto di esprimere in poesia una materia che, nel suo
nucleo matematico, di poetico ha certo l’idea, ma non può avere la forma. Perché
non farlo in trattato? A nostro giudizio perché, per aridi che paiono i versi
della parte per così dire “teorica” versi dovevano essere, passaggio razionale
tra i “sussurri del cielo” e l’approdo finale che è poesia a pieno
titolo. Giordano sembra volerci dire che la poesia basta e avanza a intuire, ma
non basta a spiegare: per spiegare è necessario l’intelletto che non avrà mai il
timbro aggraziato della poesia, ma che non le è antagonista bensì alleato. Con
quest’opera strana, ora armoniosa ora dissonante, Filippo Giordano non propone
soltanto una dimostrazione al mistero dei numeri primi, ma anche una nuova
alleanza tra scienza, fede e poesia. Ragione, spirito ed emozione sono tre
componenti connaturate e solo il loro impasto può mettere l’uomo sulla strada
necessaria a comprendere il perché di ogni cosa che esiste e, innanzitutto, di
se stesso e del proprio destino.
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Recensione |
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