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Pagine Sul filo sottile del tempo

Sono racconti non d’invenzione o fantasia, ma ricavati dai propri ricordi di giovinezza e d’infanzia: scritti con eleganza aggraziata e grande cura stilistica, possiedono la scorrevolezza dell’ottima narrativa pur descrivendo, ed evocando, momenti e tempi realmente vissuti.

Lilia Slomp Ferrari, che ha pubblicato numerose raccolte di poesia in italiano e trentino, di fronte al comprensibile desiderio di lasciar traccia e testimonianza per i propri cari non dimentica, però, il lettore “estraneo”, quello che non è motivato dall’affetto personale ma cerca, in un libro, ragioni oggettive di lettura. Basta il primo racconto per trovarle, quattro pagine che sono un ricordo di fine guerra e potrebbero essere limpidissima letteratura: due sposi tornano alla vecchia casa, la Cà Rossa risparmiata dal conflitto, con la loro bambina nata da poco, e incrociano i tedeschi in ritirata. Dopo il primo spavento, tutto va per il meglio, in modo persino sorprendente: ebbene, non c’è nessun espediente per commuovere, eppure non è possibile non sentire qualcosa che sale spontaneamente agli occhi e nella gola.

Questa è la maestria dell’autrice, trasmettere emozioni profonde e sincere senza solleticarle ma con la sola forza di quello che rievoca, in virtù di una scrittura che appare autenticamente ispirata. Mai una parola di troppo, mai un calo d’intensità, mai un indugio superfluo o lezioso: l’essenzialità della poesia trasposta nella prosa, dosando alla perfezione avvenimenti e considerazioni, episodi ed usanze, ritratti di persone – innanzitutto i familiari, ma ovviamente non solo – e di luoghi.

Né va taciuta la magnifica suggestione dell’uso frequente, nei discorsi diretti, del dialetto, che rende la scena ancora più viva e i protagonisti unici. Molte volte basta un cenno, un dettaglio: ad esempio (uno solo tra i cento possibili) nel ricordo di Edda, l’amica morta bambina investita da un bus, vicino al cui corpo viene trovato un mazzetto di fiori, e “Solo io sapevo che quelle viole erano per me”, chiosa l’autrice. Pensiero di quel momento, ma custodito fino ad oggi. Oppure le ragazze che, dopo aver troppo familiarizzato con i soldati, sparivano per qualche mese e poi riapparivano con un bimbo in braccio, oppure tornavano senza nessun bimbo “ma con gli occhi spenti”.

Cenni e dettagli che tramano tutto il libro, sovente come epifanie (il “sortilegio dell’attimo”) che costruiscono un ponte tra quegli anni lontani e il presente, proiettandosi al di là del tempo e mediando tra la realtà ed il sogno, come quello che svela alla giovanissima Lilia il mistero della vita attraverso “la fioritura di bimbi lungo il filare della vigna”. Magia, assoluta magia, quella per cui “metto ancora il piatto alla finestra col sale e la farina il giorno di Santa Lucia per ricreare l’attesa e la meraviglia, la favola con gli ingredienti della vita”: atmosfera in cui anche il lettore si trova trasportato, pagina dopo pagina e fino alla magnifica conclusione del libro, senza quasi possibilità di sottrarsi. Ma perché mai, poi, si dovrebbe sottrarsi?

Recensione
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