| |
Pass dopo pass
Libro forse insolito perché piuttosto inconsueto, questo di Lilia Slomp
Ferrari, la quale affida al lettore una raccolta di sessanta sonetti - in lingua
trentina, con traduzione italiana in calce - perfetti nella loro stesura, due
quartine e due terzine di endecasillabi correttamente ritmati secondo il miglior
canone di questa forma tradizionale. Basterebbe già questo per considerare il
libro, definito da Paolo Ruffilli "compatto ed espressivamente potente
come musica sacra", un'impresa notevole, ma va anche detto che l'esecuzione per
così dire tecnica non sovrasta i contenuti. Nadia Scappini, nella
prefazione, evoca i nomi più grandi della nostra poesia dialettale, tutti
concordi nel giudicare questa scelta come opzione primaria rivolta ad una
"lingua madre" al tempo stesso sacra e schietta e, nei confronti della parola,
responsabile anche più dell'italiano, "lingua che sa di latte appena succhiato"
dice l'autrice (in idioma trentino: noi usiamo qui la versione italiana che,
comunque, rende solo lontanamente l'idea dell'originale, come sempre avviene con
tutte le parlate locali).
I temi non possono che essere quelli consueti: le stagioni della natura e
della vita, i ricordi, gli affetti, ma sempre Scappini coglie il rapporto "tra
terrestrità e trascendenza, precarietà e persistenza, una "coscienza del
percorso creaturale" (anche specificamente come donna) segnata da "un
crepuscolarismo pudico). La costruzione formale unisce e tiene assieme
un'essenza molteplice di elementi realistici e fantastici, concreti e astratti o
anche favolosi, senza ambire a vincere il tempo ma assecondandone la variegata e
"sinfonica" (o polifonica) ricchezza. Un territorio sospeso tra realtà e sogno,
presente e memoria, radici e cielo, dove continuamente si confondono l'idea di
"ultimo" e di "nuovo". "Ho l'anima ancora rampichina", dice Lilia Slomp Ferrari
ad un certo punto (noi citiamo la versione italiana), bramo ancora una briciola
nascosta".
Estrapolare uno o pochi versi da un sonetto, a sua volta parte di una così
compatta raccolta, ha poco senso, ma assicuriamo che chiunque se ne intenda
troverà molte pagine eccellenti o persino memorabili. Tutto è concretezza e
tutto è allegoria, tutto perduto oppure tutto incanto, tutto assenza o presenza,
a seconda di come lo si vuol intendere, poiché da un lato c'è un " lampo che
dentro il niente ti strattona", dall'altro "in fondo al cuore c'è un germoglio
appisolato": insomma "l'engualdì endrezzà a l'engualnòt", "il quasi giorno
intrecciato al quasi notte", mentre passo dopo passo arrivi alla contrada".
Un libro affascinante e riuscito, degno di stare alla pari con i migliori del
suo genere, tentato dai lucciconi della memoria ma illuminato dai "lampi di
eternità" che addomesticano il tempo.
| |
 |
Recensione |
|