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Disforia del nome
In una composizione teatrale di Kantor gli attori reggono ciascuno un pupazzo inerte. Una delle attrici si mette a ballare un valzerino grottesco, i pupazzi cominciano a seguirla e ben presto è come se essi muovessero gli attori; così gli uomini si fanno trasportare dalle loro biografie. Questa immagine significativa è stata scelta anche da Elémire Zolla per sottolineare che la storia personale di ognuno di noi c’entra poco con la pura musicalità dell’essere, che non è certo una pluralità di enti – per usare una parola cara a Zolla – e niente ha a che fare con le delimitazioni e le illusioni legate ai nomi e alle forme.
Leggendo con attenzione Disforia del nome di Lucia Gaddo Zanovello, la raccolta di poesia edita da Biblioteca dei Leoni Edizioni, – vincitrice, tra l’altro, del Premio Letterario Nazionale di Calabria e Basilicata 2014, – non possiamo non sentire dentro di noi quella melodia segreta della quale parla il filosofo. Pur sapendo, come giustamente avverte l’autrice nella nota di apertura che “ non sempre e quasi mai la vita è storia a lieto fine, ma di certo e comunque è finestra aperta giorno e notte, invetriata luminosa che resta prodigiosamente spalancata sullo stupore.” Bisognerebbe soltanto imparare a vivere la vita come gli innamorati quando si disperdono nei loro sguardi d’amore o come gli artisti o i poeti quando sono in preda al sacro fuoco dell’ispirazione. Se il tempo è la misura del movimento, in quei momenti, quando si smette di misurarlo, non esiste. Tanto che innamorati, artisti e poeti spesso esclamano, con sguardo sognante: ho perso la cognizione del tempo e dello spazio! La vita, però, è soggiogata costantemente alla psiche legata al suo passato, protesa al suo futuro. Così facendo oscura il qui adesso che non si misura. E di questo ne era persuasa quella poetessa straordinaria che era Emily Dickinson: Sempre / È fatto di tanti adesso, / Non è un diverso tempo, / Salvo per la sua infinità / e per l’estensione della sua casa. Ma, si legge ancora nella nota di apertura di Lucia Gaddo Zanovello, “il territorio dell’anima è instabile zattera immersa nell’avventura mozzafiato di vivere” e non c’è da sorprendersi se poi “nomi che furono sorrisi / giacciono nel riverbero / di sangue e carne / che fioriscono i secoli dei libri …” La sosta crucciata e penosa sulle cose ci inchioda alla molteplicità tormentosa del mondo. Alla semplice affermazione dell’io sono, si preferisce sottolineare io sono questo … io sono quello. È così che ci si allontana dall’essere. La pura gioia si percepisce qualche rara volta nel corso di una vita ed accade nel momento in cui, per un attimo, l’io e l’essere si confondono … abita qui / l’alba che resuscita / il telo d’incoscienza / che ricopre il giorno appena nato … Disforia del nome di Lucia Gaddo Zanovello è un libro poeticamente bellissimo e profondo. La parola porta il tocco ispirato attinto dalla profondità dell’anima. Non può lasciare indifferente nessuno. Viene dalla vera Vita, quella che noi, quotidianamente, oscuriamo. |
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