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Verses versus capital
“I filosofi hanno finora soltanto interpretato il mondo in diversi modi; ora si
tratta di trasformarlo.” Chi non conosce questa celeberrima affermazione di Karl
Marx nella 11^ tesi su Feuerbach? E ai poeti, sempre più numerosi, cosa spetta?
“Sparare al chiaro di luna”, come gridava Marinetti? Narrare il loro mondo
interiore come gli ermetici o mettere in versi la realtà come se fosse un
bugiardino, un foglietto per le istruzioni, come hanno fatto le neo-avanguardie?
Intanto, ci siamo messi alle spalle il Novecento, e la storia è tutt’altro che
terminata, malgrado la sicumera di Fukuyama nell’annunciarne la fine
all’indomani della fine dell’Unione Sovietica (non del comunismo, che ancora
perdura, senza più dare scandalo, in Cina, Vietnam e a Cuba).
Che scienza e giurisprudenza si diano pensiero / Di resuscitare i morti / Intanto
il poeta viva un sogno più grande / Della realtà che non può fare a meno di
comprendere / Il sogno ha generato in me la realtà / Che può farmi l’apocalisse?
Giancarlo Micheli, con coerenza militante, da anni ha messo il suo lavoro e la
propria opera letteraria, (ricordo, in particolare, il suo Romanzo per la
mano sinistra), a servizio della Causa: la trasformazione della realtà, la
più grande e irrisolta sfida intellettuale e politica della civiltà occidentale.
Questa volta la sua linea di azione ha scelto il fronte poetico. Abbiamo in mano
una vera e propria controffensiva poetica, Verses versus capital
(Effigie, 2020). In prima battuta, l’opera di Micheli può sembrare retrò o
nostalgica. Ed, invece, a leggerla, meglio se in modo integrato con altri suoi
scritti, essa risulta inedita, anzi inaudita e com-movente. Si pone rispetto
alla storia come i poeti russi rispetto alla Rivoluzione. Solo che questa volta
la poesia viene prima, non segue la Rivoluzione. Si deve (ri)nominare il mondo,
prima di poterlo cambiare. Quale Rivoluzione? Prima della Parola, appunto. Senza
un lessico nuovo, qualsiasi cambiamento storico si rivelerebbe effimero,
deludente, se non tragico. La poesia è fissare una rosa / Finché gli occhi non
ti fioriscono / Ma cos’è la poesia senza la rosa? / E la rosa senza occhi?
I poeti del nuovo millennio dovrebbero riscoprirsi filosofi, ma in senso
marxiano, appunto. Finora hanno solo scritto parole; ora si tratta di cambiarle.
Soltanto quando scriveranno parole nuove, saranno riusciti, loro sì, a cambiare
la realtà. Le parole, infatti, sono diventate più importanti delle idee, quelle
che abbiamo, che non sono molto diverse da quelle dei tempi di Marx e Marinetti.
Se cambieranno le parole, cambieranno anche le idee. E così anche il mondo potrà
essere mutato. Se le rivoluzioni del ‘900 sono state recintate dentro il destino
circolare della Fattoria degli animali, la Rivoluzione che è toccata a
noi dovrà essere formattata dentro un lessico mai ascoltato prima, quello dei
poeti, in una realtà già per suo conto manipolata dalla rete e dalle reti dove
ogni navigante è poeta, ma qualcuno è più poeta degli altri. Prendete nelle
vostre mani / Il vostro destino / Svuotate di merci i magazzini / Riempite le
fabbriche di gioia / E le scuole di sapienza / Al pari d’un frutto maturo / Apritevi all’universo.
Come l’autore stesso dichiara nella “notizia” in apertura, “Questo libro nasce
da un avvilente sentimento di impotenza”, politico, sotto la denominazione
ideologica di merci e feticci, e letteraria, nel convincimento che la poesia sia
minacciata di estinzione. In concreto, tuttavia, l’opera contraddice questo
assunto di partenza. Così in un movimento dialettico senza sintesi, la poesia di
Micheli è, al contrario, una rinnovata scommessa sulla vita e sulla storia, a
cui la poesia, come sempre accade quando è vera poesia, dà forza di profezia.
Resto qua pertanto e mi conforto / Di non esser morto finché viva / sia attraverso
me la mia compagna / Benché entrambi non abbiamo patria / In questo mondo / Verrà
un giorno felice / Perché l’uno nell’altra / L’abbiamo presentito.
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Recensione |
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