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Le maschere dell'amore
L’amore quotidiano, familiare, è un tema ricorrente nella poesia di Raffaella
Bettiol, un sottile filo rosso che si dipana dietro le molte descrizioni di
stati d’animo, immagini, ricordi ed epifanie personali che si espandono e si
contraggono nei confini di uno spazio domestico vissuto e rivissuto con dolce e
rassegnata nostalgia. In questa sua nuova raccolta, trova assoluto rilievo un
amore di coppia che cerca di sopravvivere all’inesorabile deriva della
quotidianità, lungo un tragitto che prosegue in luoghi e tempi diversi, dove gli
amanti vanno in esplorazione, taciti, cercando di superare la noia, l’uno
accanto all’altro, ma probabilmente senza più tenersi per mano come in passato.
E sempre in questo viaggio, fra gli spazi e i tempi de L’amore di sempre,
non a caso le stagioni si susseguono a partire dall’autunno, per antonomasia il
tempo delle rimembranze e della nostalgie. Passati gli slanci entusiastici della
primavera e gli ardori delle passioni estive, gli amanti si ritrovano nella loro
comoda casa - in una morbida vestaglia - a contemplare quelle passate
stagioni, nella speranza segreta di poterle resuscitare. Ma purtroppo non è
possibile, né rinvigorire di verde una semplice foglia ingiallita, né
gettare all’aria tutti gli orologi | gli anni, le stagioni inopportune. E alla
fine di questo comune peregrinare, ecco i due coniugi rimettersi al confortante
disordine della propria stanza, solo per mascherare il loro stanco e monotono
ordine sentimentale, subendo quelle inesorabili sensazioni di noiosa
incomunicabilità che si vorrebbero gettare fuori | all’aria aperta,
proprio come quelle coperte prima sollevate nervosamente, rigirate, tirate,
contese, da una parte all’altra, che ne La stanza descrivono in modo
perfetto l’inquietante assenza di quotidiani ritorni passionali.
Ma, oltre l’amore concreto e abitudinario degli adulti, il viaggio amoroso della
Bettiol, con un leggero e repentino balzo, ci catapulta dalla gondola
direttamente sulla brumosa sponda veneziana, dove ci ritroviamo sorpresi ad
ammirare una diafana e iridescente gemma, incastonata nel cuore di questa
raccolta, la sezione che si intitola La commedia dell’Arte. Vivide, sotto
le agili mani della ‘burattinaia’ Bettiol, le maschere sfilano sotto i nostri
occhi in una rappresentazione esemplare di situazioni e sentimenti densi di
grazia e malinconia. In uno spoglio e pregnante incontro al di fuori del tempo,
di una sfilata ormai lontana dagli spazi affollati dal pubblico carnevalesco,
ecco fare capolino e avvicendarsi queste maschere solitarie, legate ai loro
ruoli imperituri, alle prese con gli stessi eterni vizi esistenziali e con la
virtù dell’allegra malinconia sempre rinnovata di chi è costretto a gioire
secondo gli schemi consueti, voluti dal burattinaio-capocomico. Qui, ci sentiamo
nel vivo della mitologia personale della Bettiol, nutrita dalle radici
avventizie e aeree della sua terra natale, e procediamo a passi di minuetto,
avvinti fra i versi, come inseguendo le note dell’ornato barocco delle note
soavi di una splendida sonata per clavicembalo di Galuppi. In questo viaggio
archetipico si toccano alcuni momenti salienti, come quella memorabile
rievocazione di Colombina che dall’alto dei ponti, con capricciosa
frivolezza, fa ruotare la gonna lentamente | in un moto di danza, chiedendo
con questo leggiadro gesto che avanzi | chi è degno d’amore. Una poesia
favolosa e commovente nella sua purezza e levità. Ma anche a questi solari ed
espliciti giochi amorosi di Colombina, fanno eco gli incontri freddi e galanti,
descritti in versi dai cupi toni pastello, di un Casanova dal passo furtivo, da
gatto randagio, alla ricerca forsennata di avventure sempre nuove, solo per
colmare quella stessa noia che affligge, in un’amara e sprovveduta
quotidianità, l’amore degli adulti.
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Recensione |
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