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Luna majella
In
Lunamajella viene individuato un tòpos - la Majella,
appunto - con tutto il suo universo variegato e singolare; un unicum
monadico, indifferibile e irripetibile. Un tòpos che l’Autore assume a
paradigma del mistero esistenziale mediante il rimando a terre, scorci, figure
(umane, antropomorfe, geocosmiche), profili, paesaggi che rappresentano non
solo, e non tanto, un insieme valoriale di grande impatto sentimentale e
affettivo, ma che formano un mosaico le cui tessere, ciascuna con il proprio
incompiuto (ma necessario e decisivo) apporto, concorrono e tendono alla
dimensione dell’ineffabile e dell’assoluto.
Un percorso, quello di Lunamajella, che declina come tappe
inesorabili del contingente la fatica del vivere e la ricerca di senso:
“Il pane di casa tua... poi non più...”. / Ma il rancore qui, la
rabbia / ha la forma del volto muto, / della pietra rialzata. / Cela nello
sguardo / il suo rovinoso contendere, / un saluto d’offesa”
(Il costo del campo), versi in cui lo sconcerto per il nonsenso
e l’inconoscibile è reso con rara sintesi. E poi il passaggio e la morte: “Sempre
prima di addormentarmi / penso alla morte, al rassetto che sarà / sotto questa
montagna di immenso lumino, / sopra questo lago incoronato dalla diga. / Non vi
sarà strada, non vi sarà utensile / solo un’altalena di piccole spighe non
spazzate / e il santo di gesso a fissare nel volto ceruleo / della stanza le
mani secche, l’attesa / dell’altro chiamato al mio posto ”
(Rassetti), testo in cui la morte tutto rassetta/resetta, perché “l’uomo
lungo il pianoro / svanendo al vallone / è terra che resta nella semina / fredda
del lutto, nel grido / che dà sempre - anche a sera - / il suo frutto (Lunamajella
(IV).
Niente, dunque, nessuna traccia resta di noi, dal momento che “Sola ci
appartiene la perdita,
/ della fontana il lento ghiacciare, / lo stormire non nostro degli uccelli”
(La Penna (III). E, ancora, scorrendo la
silloge, a tutto tondo emergono il dubbio, la solitudine, l’abbandono: “E
non sai / se sono pietre, o case / le figure col bastone / che s’incamminano /
appoggiate ai costoni; / dopo le curve / i portali improvvisi / all’imbrunire di
croci ” (Lunamajella
III); la chiusa, qui, rappresenta una sorta di monito e, insieme,
l’esortazione a sostenere con solidale comprensione chi si appresta a declinare
in tutta la loro durezza, e senza il conforto della poesia, l’alea, il distacco,
il mistero del vivere, perché “Qui i poeti / non ti accompagnano, / devi
procedere solo” (ibidem). Versi che rimandano, per nettezza e forza
visionaria, al Salvatore Quasimodo di “Ognuno sta solo sul cuor della
terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è subito sera”, dove il
penultimo verso, in una sorta di contaminatio e di continuum
poetico/filosofico, potrebbe interagire con la variante “trafitto da un
raggio di Lunamajella”…
Roma, 2 luglio 2019
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Recensione |
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