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Immagini,
rappresentazioni, squarci, paesaggi e personaggi di questo pianeta di
drammatiche e ludiche (lubriche, quando capita) bizzarrie, nel suo presente e
nel suo passato, nel suo ordine e nel suo disordine. Ordine apparente e
disordine sostanziale, in senso fisico, mentale, psichico eccetera. Il “facite
ammuina” di un falso Regolamento della Marina borbonica (che era invece seria e
funzionale) è assunto, qui, a metafora del mélange persistente tra kaos e
cosmos, come in un’opera incompiuta. E il poeta ci ricama su, con inquieta penna
e sorriso sornione, di chi la sa lunga. A volte pare scivoli in tonalità
visionarie, sia nelle brevi composizioni sia in quelle che assumono dimensioni e
cadenze di poesia narrativa, come nelle storie di Alissa o in quella imperniata
su una sceneggiatura di Tonino Guerra su due spunti fornitigli da Federico
Fellini, ma poi realizzata «praticamente di testa sua». Altre volte si crogiola
in toni da filastrocca, quando ci imbattiamo, ad es., in Alissa e sua madre o in
Maria «che dell’amore ha fatto scienza». Ma anche Maria si presta a occasioni
narrative, allorché «prende possesso del 100% delle sue mani» o quando suo
marito «si appassiona a calcoli relativi all’economia domestica». Idem quando ci
si inoltra in rielaborazioni mitiche con gli “Atti della Favorita di Akbar” o
nelle storie di Tommaso detto Didimo. E dovunque si posi lo sguardo del poeta
(che ha al suo attivo una decina di raccolte poetiche, dal 1985 al 2002) per
dire a modo suo, ovvero con stile e ironia personalissimi e con intensa
partecipazione, di questa povera umanità che si arrabatta nello snodo dei giorni
come meglio (o peggio) le riesce. Acuta e puntuale prefazione di S. Gros Pietro.
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Recensione |
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