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La Vita reale e/è giochi di
ruolo è una tesi di laurea di psicologia clinica costruita con
partecipazione e intensità da parte dell’autrice, oltre che con notevole
coerenza e consequenzialità. Vi è una idea di fondo che dimostra di essere stata
conquistata dall’autrice seguendo non solo una via logica e cognitiva, ma anche
e soprattutto secondo un’intima esperienza personale, tanto che, per certi
aspetti, la tesi si legge quasi come un romanzo di formazione. La struttura
della trattazione, organizzata in tempi, intervalli e titoli di coda, riecheggia
se non la forma del romanzo, certamente quella della pièce teatrale, rafforzando
con ciò la percezione che si tratti di un’avventura interiore elevata a una
generalità universale.
L’idea di fondo è espressa con
immediatezza nel titolo stesso: la vita è concepibile come un insieme di giochi
di ruolo in cui ciascun individuo incarna diversi personaggi a seconda delle
situazioni sociali in cui si trova coinvolto. Questi ruoli non rimangono slegati
uno dall’altro, come chiusi in camere stagne, ma si rinforzano a vicenda in una
continua interazione dell’individuo con le proprie personalità multiple, e di
tali personalità con gli altri individui e le società. In questo senso, è il
concetto di relazione, o meglio di interazione, che diviene fondante, piuttosto
che quello di gioco di ruolo. Infatti, i ruoli che incarniamo sono determinati
dalle interazioni che ci troviamo a vivere. Tali interazioni costituiscono la
società, che a sua volta costituisce le regole di base dei giochi di ruolo
stesso.
Queste tesi di fondo vengono sviluppate dall’autrice con coerenza e di notevole
interesse ci sembra l’applicazione clinica della teoria. L’idea dei giochi di
ruolo, infatti, porta a fondare un tipo di intervento psicoterapeutico
essenzialmente narrativo e rivolto a suscitare nel paziente la capacità di
immaginare e costruire nuovi ruoli per uscire dai propri disturbi personali. Il
rifiuto esplicito della psicoanalisi si radica nel rifiuto dell’idea che i ruoli
in cui ci troviamo ad immedesimarci siano al di fuori del nostro controllo. Non
c’è un inconscio dominatore, secondo la Liguoro, perché questo stesso inconscio
è, in fondo, un personaggio fra i tanti possibili che può essere abbandonato o
reinterpretato dal paziente. Ognuno di noi, sembra suggerirci l’autrice, è
responsabile dei ruoli che assume e può modellarne sempre di nuovi a seconda
delle esigenze del suo benessere psichico. Un’idea affascinante che ha il merito
di individuare un modo costruttivo e, perché no, ottimistico di percepire la
complessità dell’universo personale e sociale di ciascuno di noi.
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Recensione |
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