| |
Nel secondo Novecento, in una soglia culturale senza bordi, che volge verso
la comunicazione indeterminata e l’opera aperta, come suggerisce Umberto Eco,
riesce difficile definire la figura di un poeta, rilevandone la specifica voce
tra le altre. L’individualità rinvia al sempre fluido allineamento di gruppi e
generazioni intellettuali intorno alla forza attrattiva di agenzie editoriali e
all’ampio bacino collettore dell’industria culturale. Il dibattito dinamico non
permette più un’estetica della "regolarità", disponendosi in una vasta gamma di
gradazioni e risposte.
Maria Armellino, nel libro "Elio Filippo Accrocca, interprete e testimone del
suo tempo", nel proporre una monografia del poeta Accrocca, si muove, con
competenza mista a critica cautela, su un terreno franoso di formule che si
avvicendano e rifluiscono senza storicizzarsi. Ermetismo, Realismo, Avanguardie,
pur ostentando peculiari forme di vitalità, escono estenuati dal loro stesso
dibattito, superati dal sistema sociale che man mano li integra. Di tale lavorio
della cultura, sollecitato dalle spinte di una società in veloce evoluzione,
l’autrice prende atto mentre è impegnata a seguire il percorso del poeta
Accrocca, che, proprio nel vanificarsi delle formule e dei programmi, riesce a
far notare la sua voce poetica umana e vibrante. Con una veduta su mezzo secolo
di cultura italiana e con un taglio storico, tipico della nostra critica
letteraria, fa ruotare intorno al personaggio l’opera delle società editoriali
con i loro media, i concorsi, i periodici, le vetrine delle pubblicazioni, tutti
strumenti tesi a produrre eventi ed orientamenti culturali. Da queste
istituzioni viene accreditato il nome del Nostro, mentre la vera investitura
poetica avviene ad opera di un illustre e presago predecessore, il poeta
Ungaretti, che si rende disponibile a formare tutta una generazione di giovani,
in un dialogo generoso, all’interno ed anche al di fuori del magistero
universitario. L’autrice del libro, con compiacimento, presenta questa "Scuola
romana", gruppo aperto di giovani artisti che hanno realizzato un fortunato
connubio, facendo tesoro dei suggerimenti di più maturi Maestri e sollevando
Roma, con forme più moderne e critiche di mitizzazione, alla pari delle storiche
capitali della cultura. Come queste, infatti, e il ricordo va alla Parigi di un
secolo prima, Roma accoglie un’isola intellettuale, vigorosa di apporti e
confronti tra le arti, proprio quando anch’ essa vive il fenomeno
dell’avanzamento tecnico industriale, con gli esiti alienanti ed involutivi sul
versante del sociale e civile.
Accrocca, più che scrittore e giornalista, aperto ai problemi dell’Europa e
del mondo, secondo i dettami di un’ideale Repubblica delle Lettere di cui
si ritenne esponente, è poeta che matura la sua professionalità allontanandosi
gradualmente dai canoni tradizionali e immettendosi in uno sperimentalismo,
frutto di raccordi ed ipotesi raccolte dall’ampio universo culturale del secolo.
Nel Novecento le scienze umane ed antropologiche, rispondendo all’esplosione del
linguaggio fino al nonsenso del gioco consumistico pubblicitario, focalizzano il
problema critico della comunicazione, per risaltare la specificità della poesia,
quella concatenazione di significanti, dotata di forza di penetrazione nella
realtà, come non è più concesso alla scienza tradizionale. Il nostro Poeta è
consapevole della pieghevolezza e pluridimensionalità del sistema scrittorio,
dedicandosi alla ricomposizione delle due anime del segno linguistico, al
contempo emozione sensoriale e contenuto di vita, andando oltre la vieta pratica
ludica dei Nuovissimi dissacratori.
I cultori del Novecento possono verificare varie linee di rinnovamento
poetico, di cui il secolo è stato inesausto artefice, entrando, con la guida
dell’autrice, nella testualità di Accrocca, vera messa in opera di strategie non
solo formali, ma indagatorie e concettuali. Qui i titoli delle raccolte
poetiche, i motti posti a contrassegno, le citazioni, gli innesti di grafie ed
elementi extratestuali, si concludono in esiti iconici geroglifici ed ideogrammi
da decrittare, in sistemi binari o multipli di comunicazione. L’aspetto visivo
mentale, così potenziato e detritico, innesta uno sguardo perplesso e
problematico, quello dell’autore, sul mondo attuale magmatico e scomposto, di
cui il verso reca l’impronta, uno stato d’animo di smarrimento, alla ricerca di
un’elementarità unitaria e di validi paradigmi, un sentimento del tempo di marca
ungarettiana, bisognoso di prolunghe e trascendimenti, anche se di più incerta
religiosità. La resistenza e il rigore morale della finestra visiva di Accrocca
sono accostati dall’autrice all’analoga tensione di poeti coevi, ormai acquisiti
al giudizio retrospettivo delle critica letteraria, Giudici e Zanzotto fra gli
altri.
La piena espressiva, a giudizio dell’autrice, è quella ispirata allo
"Sdraiato di pietra", statua grezza ed anonima, su cui potrebbero scorrere fiumi
di parole e di ipotesi psicologiche, tese a svelare il silenzio di un archetipo
umano. Il sileno, come alter ego del Poeta, sembra voler pronunciare una severa
condanna alla città deviante dai suoi valori eterni, ma può anche indicare un
lacaniano viaggio verso un indicibile Alterità, indifferente verso l’uomo
moderno non più affiliato al culto di un dio.
In conclusione, per quello che ho cercato di riassumere ed estrapolare, il
testo di Maria Armellino non è una semplice monografia, se pur ne possiede gli
elementi accentrativi, ma una acuta indagine sul vasto panorama della cultura
del nostro Secolo, nell’impegno di portare a chiarezza e determinazione storica
alcune espressioni che l’avventura conoscitiva della società contemporanea tende
ad oltrepassare, impedendone una sedimentazione riflessiva.
| |
 |
Recensione |
|