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Il libro di Luciana Chittero si legge con piacere per la serenità che il testo sa regalare. Non si tratta
di una serenità facile, ma di quella che scaturisce dalla
capacità da parte della scrittrice di registrare i drammi
della vita ricavando sempre da essi motivi di speranza. Si
apprezzano in modo particolare: il respiro poetico di certe descrizioni
“Gente lontana chiamata da terre assetate a morire sui prati di
velluto e a dormire all’ombra dei pini...”; l’analisi
psicologica dei personaggi; ad esempio, tutto ciò che deriva
dall’affermazione “Sono giovane io! – Voglio divertirmi =
conflitto generazionale”; la religiosità autentica, quella
che si rende presente negli atti quotidiani o quella che, in
determinate situazioni si rivela a noi stessi, come incommensurabile
ricchezza “Voglio considerare la fatica e il sudore
versato durante la marcia, una forma di preghiera … dimentico tutte
le miserie umane e mi viene più spontaneo pensare al
Signore”; la capacità di sostenere una tensione drammatica che
potrebbe avere la dimensione di un romanzo, anziché di un
racconto (Bufera); la presenza di una natura che si trasmette al lettore
amatissima e pertanto nota fin nelle più umili fibre.
Tutto questo è racchiuso nel titolo Variegato che forse non esercita un forte richiamo nel lettore
contemporaneo, troppo spesso
sensibile più al suono che alla sostanza.
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Recensione |
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