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La lunga introduzione di Antonio Bonchino, articolata in ben cinque pagine,
sembra dire davvero tutto su Vincenzo Campobasso. Un autore sicuramente non ‘in
erba’, che tuttavia ha esordito proprio con la presente pubblicazione.
Oltre al primo, delicato e molto commovente, componimento di dodici versi
liberi, dedicato ad un bimbo, A Filippo, nato morto (forse un figlio o
forse un nipote) il resto dell’opera è un collage di 119 haiku.
Mentre la prima notevolmente più lunga serie si presenta in una tematicità
variegata, gli ultimi dodici haiku sono espressamente a tema: Mondo fungino.
Nella tipologica brevità dello haiku l’espediente poetico andrebbe individuato
nella sintesi verbale, molto spesso estrema e comunque lessicalmente stringata.
È la regola che lo pretende! In una parola, "essenzialità", si può senz’altro
individuare il cardine, non solo estetico ma pure logico, dell’haiku. Non è
concesso spazio alla descrizione, al minuzioso ingaggio degli accessori della
parola, a certe amene pertinenze che potrebbero, in differenti contesti, dare
sapore alla poesia. Anch’io mi associo nel credere che nel presupposto d’estrema
essenzialità possa consistere l’autentico effetto-aura della poetica haiku.
Mi capita di leggere presunti versi haiku (oramai tale caratteristica
tipologia di scrivere in versi non è più una rarità) impostati ad una più
ordinaria, dozzinale, letteratura e, credetemi, non riesco a vederne alcun senso
estetico. Invece l’haiku può dare eccellente esito, all’incirca quello della
poetica ermetica stricto sensu, se interpretato conformemente all’esempio
di Vincenzo Campobasso.
Quanto alle singole icone identificative dei significanti dell’opera, be’,
bisognerebbe dilungarsi in un’analisi alquanto dispersiva. Proprio perché, nel
caso specifico, le tematiche trattate sonno assai varie e soprattutto divergenti
le une dalle altre.
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Recensione |
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