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Nella dissipazione letteraria un indizio d'immortalità
“…e poi, nella nostra biografia, restano quelle macchie bianche, stimmate
odorose, quelle perdute orme argentee di piedi nudi angelici, disseminate a gran
passi lungo i nostri giorni e le nostre notti, mentre quella pienezza di gloria
cresce e si completa incessantemente e culmina sopra di noi, passando nel
trionfo di estasi in estasi. Eppure in un certo senso, essa è contenuta intera e
integrale in ognuna delle sue difettose e frammentarie incarnazioni.” (Bruno
Schulz)
Solo circa il 10% della
letteratura che si scrive in Italia è resa pubblica con edizioni in libro, in
un tempo abbastanza immediato dopo la stesura dell’opera. Per il resto la
dimostrazione dell’arte letteraria si svolge in ambito più riservato – seppur
diffuso – nelle riviste, finanziate perloppiù dagli stessi autori con
abbonamento. Quindi noi pratichiamo la lettura di una piccolissima parte
degli scrittori operanti.
Nel
maggio del
1826, rispondendo allo Stella, durante la trattativa per la pubblicazione
delle Operette morali, Leopardi dice: «Se a far passare costì le
Operette morali non v’è altro mezzo che stamparle nel Raccoglitore,
assolutamente e istantaneamente la prego ad avere la bontà di rimandarmi il
manoscritto al più presto possibile. O potrò pubblicarle altrove, o preferisco
il tenerle sempre inedite al dispiacere di vedere un’opera che mi costa fatiche
infinite, pubblicata a brani in un Giornale, come le opere di un momento e fatte
per durare altrettanto».
L’esigenza di vedere stampata un’opera in una
confezione unitaria e non disseminata in vari fascicoli è il desiderio di tutti
gli scrittori. Ma per vari motivi ciò non è possibile. E non è solo la mancanza
di soldi a impedirlo, ma anche l’esigenza di perfezione, o il pudore. Alle
volte la rivista – non il libro – riesce a sottrarre al segreto questi scritti.
Di solito esigui, stesure sempre provvisorie, stillate parola per parola, frasi
meditate, scritte per restare a compagnia della vita. Ci sono di quelli, per
esempio, che non riescono con i loro scritti a raggiungere la corposità di un
libro, o altri che sono incapaci di dare una forma finita alla loro opera. C’è
una letteratura editoriale e ce n’è un’altra vastissima “dissipata” nelle
riviste, formata di scrittori dai quali la marginalità e la momentaneità è
accettata e direi anche interiorizzata, tanto da conferire anche una
particolarità al loro stile. Così è stato per Fernando Pessoa che ha
pubblicato in libro solo un poema, il resto delle sue opere edite, in maggior
parte interventi di letteratura e di estetica, erano apparse su giornali e
riviste. Quando è morto aveva tutto nei quaderni. E come fu per Emily Dickinson,
che in vita pubblicò solo due poesie su una rivista. Questa è la collocazione
della maggior parte della produzione intellettuale che, tolta dai cassetti,
appare a brevi saggi o brani nelle riviste, e che rispecchia il fenomeno privato
della letteratura. Fa parte anch’essa delle anonime opere dell’arte domestica
come ricami, diari, lettere, favole, educazione, esempi morali. E tutti gli
altri capolavori sconosciuti dell’uomo comune.
Non è detto quindi che quella
in catalogo degli editori sia la letteratura di miglior scelta, visto che è
proprio nella «lettura di un momento» che viene offerta la nostra letteratura
più ampia. Lo sfogliare delle pagine dei
libri compete con il mare, sta raggiungendo l’infinità e la monotonia delle onde
del mare. Dico sempre che la letteratura – per salvarsi dall’insipienza – si
spezzetterà in tanti capolavori in frammenti. Ormai è nel frammento il destino
della letteratura. Come nella filosofia, Nietzsche ha compilato in proposizioni
il suo pensiero.
Personalmente
resto più colpito da un pensiero di un articolo e/o di un verso su una rivista
che di un intera affastellatura di frasi superflue stampata in un libro. Benché
dai più fortunati che arrivano subito al libro siano viste come spiagge su cui
si arena la scrittura minore, è invece nelle riviste letterarie popolari che
dobbiamo cercare la letteratura più viva. Stanno in questa letteratura privata e
“dissipata” le prove migliori della nostra creatività intellettuale. Per
l’espressione e la vita di un autore e di una letteratura affermo l’importanza
delle riviste letterarie. Esse permettono, tra l’altro, una corrispondenza nel
mondo delle lettere che in altro modo non ci sarebbe. Dovrebbe essere tenuta
dagli editori, ma sappiamo con amarezza e rabbia che gli editori non rispondono
alle lettere. È una corrispondenza, senza indirizzo specifico, identificata
dalla firma in fondo al pezzo, alla recensione, alla poesia, ma che permette una
conoscenza profonda di chi la invia. Perché la cosa che ognuno di noi cerca più
di tutto, più dell’amore – inflazionata illusione –, è la considerazione. Una
grande comunità di anime può così comunicare più o meno direttamente,
attraverso la lettura delle riviste, esprimendo in cuor suo quel giudizio di
sentimento di cui è fatta l’immortalità terrena. E che prima o poi raggiungerà i
consensi più vasti.
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