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La parola “silenzio” evoca una dimensione priva di suoni, di voci, di rumori... ma, Anna Maria Monchiero, trasforma, nella silloge Biografia del silenzio, questa dimensione in un angolo appartato, dove soffermarsi per guardarsi indietro, dentro e intorno senza svuotarla degli echi del passato. Ricordi, di momenti particolari, riaffiorano intatti, riportati a galla da sguardi che si posano su “ritratti” infantili o giovanili, su “bambole di pezza o pupazzi polverosi”, tra “coperte e sedie” vuote ma “colme di carezze”... Un colloquio permeato di silenzio, si snoda attraverso i versi della silloge, le cui tre sezioni e le poesie che le compongono, sono prive di titolo, per sottolineare questa caratteristica. È un silenzio dotato di vita propria, di una sua “biografia” che Anna Maria Monchiero, per mezzo della poesia, si fa amico “per ricatturare” le sfumature di emozioni che il tempo nel suo inesorabile scorrere aveva ricoperto di polvere. Insieme a questo tema principale, soprattutto nella prima sezione, anche il tempo diventa un elemento costantemente presente; espresso da svariati sostantivi si riveste di metafore, che si intrecciano con altre riguardanti tematiche diverse. Nella seconda e terza sezione, l’idea dell’effimero, della fugacità è espressa non solo dal vento, ma anche dall’acqua, che ritroviamo nei versi con sempre maggiore frequenza. L’acqua diventa specchio che riflette l’illusione di una realtà, l’irreale che cerca di richiudere ferite, un giorno non lontano “gioie”. Tutta la silloge è percorsa da una sottile vena malinconica, un senso nostalgico per eventi vissuti, soprattutto per un’esperienza in particolare: una storia d’amore, già delimitata da un arco temporale con un inizio e una fine. Un’esperienza così intensa, che ha lasciato nodi di solitudine avviluppati alla sua anima, stretti nella morsa della rete della malinconia. Incagliata nelle maglie di questa rete, resta l’essenza di quell’amore ormai finito, che nonostante tutto attinge ai suoi ricordi per nutrire la solitudine del presente. È una solitudine rivestita di silenzio che scandaglia intorno per trovare nei dettagli delle cose il senso dell’esistere, un qualcosa che possa colmare il vuoto dell’assenza, così pesante nello scivolare delle ore. La memoria dell’assente, nei pensieri della poetessa, rinasce come illusoria presenza dal buio della sera quando si fa più denso; dalla superficie levigata dell’acqua; nei voli delle foglie “che inseguono le follie del vento”. Rinasce “nelle follie d’estate” quando l’anima, tende quel filo spezzato, nell’azzurro, sperando che “l’altro capo” sia afferrato di nuovo dalla mano amata, per ritrovare “la riconciliazione”. |
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