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Non è certo poesia a voce bassa, quella della raccolta Candidi
Asfodeli Vezzose Ortiche di Gemma Forti, al contrario è poesia gridata
di denuncia sociale e di percezione dell’esistere come inevitabile percorso che
dalla vita conduce verso la morte. È, anche, espressione di rabbia impotente di
fronte a visioni di "questa umanità" che, inseguendo "rari giorni di gloria" (p.
13), nel suo avanzare travolge l’altro, lo annienta cercando di rendere il mondo
uno strumento nelle proprie mani ed è, soprattutto, consapevolezza che, l’unica
incorruttibile "livellatrice", colei che riesce a placare tutto, è "Madame La
Morte".
E, proprio la morte è la protagonista della sezione A cena con Madame,
la seconda delle quattro da cui è composta la raccolta. Invisibile presenza che
si nasconde tra i "candidi asfodeli" e le "vezzose ortiche" del titolo, dove i
due aggettivi offrono un’immagine delicata e graziosa di piante erbacee i cui
fiori e le cui caratteristiche simboleggiavano legami con il mondo ultraterreno;
Donato Di Stasi, nella prefazione, mette bene in evidenza queste ed altre
peculiarità ad essi legate: "gli asfodeli del titolo rappresentavano nella
cultura pagana i fiori del kèpos, il giardino ultraterreno... L’ortica
nell’immaginario cristiano simboleggiava il fuoco infernale...".
Alcuni testi, Questa notte, Il mare, Specchio delle mie
brame, costituiscono la trama di esperienze personali, che si intreccia con
l’ordito di accadimenti storici per dare vita ad un tessuto di versi, in cui la
parola scritta acquista vigore per esprimere testimonianze e opinioni personali
della poetessa. Una relazione indivisibile che porta Gemma Forti ad una
compartecipazione con tutto quello che la circonda e ad analizzare il groviglio
di problemi, atavici e di nuova generazione, condivisi con l’uomo del suo tempo.
Stragi, guerre, persecuzioni in nome di un dio, uno dei tanti che predicano pace
e rispetto; fame, miseria, disperazione di tanti per saziare la sete di
ricchezza di pochi; natura violentata, inquinata, clonata per acquistare più
potere economico e politico; solo la fiamma dell’odio di razza, di religione...
sembra splendere ed acquistare luminosità, mentre, al contrario, la luce del
sole sembra diventare sempre più fioca e la luna sempre più scura.
Nell’oscurità di "quest’epoca di satelliti & cellulari" (p. 47) la stabilità
psicologica e interiore dell’individuo sembra vagare senza trovare uno spazio
dove rifugiarsi per tentare di ritrovare il filo che conduce alla speranza di un
futuro mondo migliore.
Parole forti, cruente, sottolineano la drammaticità di comportamenti privi di
sensibilità e raziocinio; il linguaggio in alcuni testi, delle prime tre
sezioni, è caratterizzato da sequenze aggettivali o nominali, miscele di lingue
diverse e uso di ‘&’ al posto della ‘e’, nella quarta e ultima sezione, si
inabissa anche in sperimentalismi che denotano una visione non lineare della
realtà, resa caotica da stratificazioni di eventi non pacifici e orridi. La
scrittura diventa lecita rappresentazione del flusso emotivo dell’io poetico,
che sceglie le parole per sciogliere, in modo inatteso, il suo nodo d’angoscia
urlando: "Cosa sarà di noi sotto la luna buia...?" (p. 13). Un urlo raccolto dal
potere mediatico della poesia che lancia un messaggio teso ad esorcizzare il
buio, scalfirlo per far riaffiorare piano piano bagliori di luce. Quella luce,
Gemma Forti, l’ha racchiusa nel suo sentire e percepisce che, nonostante tutto,
è ancora presente anche in una parte dell’umanità e vale la pena gridare
per lanciare il suo messaggio poetico.
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Recensione |
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