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Un felice compleanno
A Cittadella con Bino Rebellato
Mi sono recata con entusiasmo a Cittadella, il 15 gennaio 2004, per
festeggiare il 90° genetliaco di Bino Rebellato, poeta, pittore, editore, il
figlio più illustre della bella città murata nell’Alta Padovana, lì nato nella
frazione Vaccarie. E nella sala del Municipio, ho incontrato autorità, critici,
giornalisti, e tanti, tanti amici a lui legati dalla fede comune nell’arte, ma
anche da un antico vivere quotidiano ritmato da incontri nei caffè, sotto i
portici, nella piazza ove Bino (così il poeta si fa chiamare da tutti) ancora
gira con la sua bicicletta. Un’atmosfera quindi palpitante di affetti, di stima,
una cerimonia semplice, ma autentica per onorare questa figura d’uomo fiero
della sua origine, da sempre impegnato per la cultura e per la sua terra. Così
il sindaco Massimo Bitonci ricorda la sua attività con parole di simpatia e
gratitudine prima di consegnargli la targa: “A riconoscimento dell’opera
letteraria donata agli animi italiani, l’Amministrazione comunale rende onore al
magnifico cammino artistico percorso dall’illustre poeta cittadellese”. E Bino,
tra applausi ed abbracci, ringrazia commosso e, con la sua abituale umiltà,
sottolinea di essere immeritatamente festeggiato “perché considero la poesia il
più grande dono riservato da Dio all’uomo”. E con poetica espressione così
sintetizza il suo iter: “Ho lavorato tutta la vita per scoprire e salvare poche
parole, e darmi in esse ad altri”.

E mi passano sequenze di incontri a Cittadella, Treviso, Padova, con lui
acceso nella lettura dei versi, “dominati dal suo fuoco spirituale” ma sempre
disponibile all’ascolto, ad approfondire il rapporto umano. Sequenze di
affermazioni, tante volte ripetute e scritte, di fede nella poesia “unica ancora
di salvezza del mondo”, “tutte le voci della poesia sono lumi di salvezza nella
lunga notte che dobbiamo attraversare” insieme all’esortazione di ricercare “la
parola fino a toccare i vertici dell’– ex uno verbo omnia et omnia loquantur
unum – (T. Da Kempis)”.
Un viaggio poetico iniziato ai tempi del ginnasio, coerente per questa sua
fede, per la tensione dell’essere a una parola, espressione dell’intera armonia.
E Silvio Ramat nel saggio a “L’ora leggera” (1989), scrive «La parola – le
‘parole che non ho’ –, al pari del ‘verso’ che ‘non ho mai scritto’, servono a
garantire che il discorso non s’interrompe, giacché non gli è dato eludere il
proprio destino, omologo a quello dell’uomo, di noi tutti ‘portati qua e là’,
inseguitori inseguiti di folle raziocinio, “assurdi esseri a se stessi ignoti |
con dentro il desiderio di un fulmine che ci trapassi”. Tale echeggia una
clausola di notevole intensità, ad allacciare il tempo umano (mio-nostro tempo)
a quel non-tempo che folgora fin quasi ai suoi albori questa poesia, prodiga di
localizzazioni puntuali non meno che attirata da irresistibili astrazioni». Un
viaggio segnato da “istanze di purificazione del verbo”, in un’incessante
revisione dell’opera da parte di Rebellato. Egli infatti scrive nelle
“Avvertenze” al volume antologico Non ho mai scritto il verso (1994): «Le due
date che accompagnano quasi tutti i testi indicano l’arco di tempo dei ritocchi,
delle variazioni o dei radicali mutamenti dei testi stessi cui si riferiscono.
Quindi: poesie edite e, a un tempo, un po’ inedite…» E Ramat ancora dice «L’ora
leggera, frutto di un lavoro di progressiva scarnificazione sorretto da una
singolare spietata pietas sui, si accampa come un libro equilibratamente nuovo e
fedele. Il titolo è probabilmente il più limpido…, ma non è tale in virtù di una
sua pseudo-ingenuità…, bensì per il fatto di prodursi a esauriente compendio
d’una vocazione ( ovvero uno stato interiore) liberata… di chi accettando, fra
appassionato e paziente, il male e il bene, la vergogna e il trionfo apparenti
dell’umano, si sia tolto da quelle spine dolorose che ostacolano il nostro
colloquio con l’altro e abbia sgombrato quei massi che vietavano il varco da
fisica a metafisica, da presenza ad assenza, e viceversa – come ho già
esemplificato citando alcuni componimenti che, riproposti con decisione felice
in L’ora leggera –, costituiscono il più vistoso dato della fedeltà che connette
il nuovo libro ai suoi antecedenti immediati».
E piace rileggere di Spagnoletti «Nel caso di Rebellato, si tratta di una
rara capacità astrattiva, capace di cogliere dal tumulto della realtà esterna,
dalla stessa fatica del vivere, un ordine e una calma spirituale, profili di
verità interiore in nome dei quali credere alla religione delle cose. Di qui
l’accento posato da Rebellato sempre sulle medesime presenze umane, immagini per
lui familiari di un – procedere insieme – in un unico corpo d’amore – come
fossimo “vibrazioni e voci | portate via dall’aria | che pulisce i ghiareti, |
le piantine dell’orzo nate ieri”». Un cammino poetico che, con la musicalità del
verso, la lievità della parola – anche nell’uso del dialetto –, attraversa la
Cittadella con le mura e il Tergola, le campagne visitate da “magnifici signori
del paese”, i costumi d’un vivere agreste, i giorni della Resistenza al comando
di una brigata partigiana nel bassanese, ma insieme si addentra in un percorso
ontologico fino al tema dell’altro in noi e a quello a lui caro, della “poesia
non detta” in Appunti e spunti (1999). E da questo lavoro «desunto da un mio
quaderno della Resistenza – mai chiuso», conclusione di un pensiero o inizio di
una nuova meditazione, è utile trarre alcuni frammenti che riconducono ad
affermazioni iniziali.
E Carlo Bo il 23 aprile 1999 per la presentazione a Treviso di Appunti e
spunti così scrive: «…Il nuovo libro rappresenta un punto nuovo del tuo
discorso… sempre nell’ambito della speculazione poetica tu affronti nuovi domini
che appartengono alla filosofia, se non addirittura alla teologia e in senso
laico alla morale. Per certi versi il libro è una traccia, una proiezione e il
risultato di un ascolto che ha segnato la tua vita… Per un altro verso sembra il
frammento di un diario centrato sulla poesia non detta che occupa l’intero
universo… In tal modo muta lo scenario della tua lunga e appassionata
interrogazione e le cose assumono la parte del coro chiuso, dell’invisibile.
Curiosa soluzione per un poeta che è anche un artista. Da questo punto di vista
non ti limiti a dare il nome alle cose, ma istituisci un confronto fra ciò che
si vede e ciò che si sente e pertanto resta da esprimere e da svelare. Rapporto
interiore che hai il coraggio di incarnare nella tua figura umana. Infine mi
sembra che tu getti la base per una nuova costruzione spirituale epperò la
poesia diventa stupore attivo o si fa pensiero, regola interiore o “appunto”
qualcosa che preannuncia altre misurazioni dell’esistenza. Bravo Rebellato, che
non parli soltanto di te e per te ma anche per quelli di noi che non hanno più
il coraggio di bussare alla porta del mistero, del segreto e dell’ignoto.»
E il suo “fare” poetico si trasfonde, dagli anni ’50, anche nell’attività
editoriale e di promozione culturale. Ha pubblicato, per citare solo alcuni
autori, Betocchi, Buzzati, Comisso, Deledda, Marin, Palazzeschi, Valeri,
Valgimigli.
Ha fondato il Premio internazionale di poesia “Cittadella” (1953) che ha
visto nella giuria personaggi come Valeri e Palazzeschi, Bo e Betocchi,
premiando tra gli altri Caproni, Rebora, Cattafi, Luzi, Merini, Ramat, Spaziani
e Raboni. Gli è stato a sua volta conferito, nel 1953, il Premio nazionale
“Siena” di poesia . Tra le altre iniziative, la Triveneta giovanile d’arte
(1960/ 1970), la Biennale internazionale dell’incisione (1967) e il Gruppo arti
e lettere (1973) ancora attivo; vari convegni su la “Poesia oggi”(1964), “Il
convegno internazionale sulle città murate” (1955). Quest’ultimo nasce da un
amore-dovere per la conservazione dei valori della sua terra. Le mura, sempre
accarezzate nei suoi versi, balzano vive anche dalla sua produzione artistica e
da biglietti augurali inviati ad amici. Ne conservo uno ove spaccano il bianco,
verdi mura, materna barriera e storia di genti. E in questa sua intensa attività
ha sempre dedicato con generosità il suo tempo ai giovani interessati all’arte e
alla poesia, come ben sottolinea Zanzotto nella sua lettera augurale di cui
riporto alcuni passi: «La tua bella figura umana e letteraria brilla nell’evento
del tuo nonagesimo compleanno che si compie felicemente in seno a tutta la
comunità cittadellese. Si può dire che raramente un luogo bello e meritevole,
vero centro di un microcosmo, ha trovato nella poesia, migliore e più alta
espressione della sua identità. E così è diventato sfondo naturale alla pulsione
altamente “cosmica” della tua creatività… Desidero ancora ringraziarti anche per
aver fatto da guida intelligente a tanti poeti giovani che poi hanno intrapreso
un percorso originale».
Mi sono recata con entusiasmo a Cittadella, il 15 gennaio 2004, e con affetto
ho raccolto questi dati per testimoniare lo spessore poetico, la coerenza
artistica ed umana dell’amico, nella poesia, Bino Rebellato. Il 23 luglio sempre
del 2004 si è spento nella sua Cittadella.
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