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La poesia contemporanea ci ha abituati ad un’esigenza di asciuttezza stilistica e di prudenza semantica, ovvero a quella essenzialità formale e concettuale che Maria Luisa Spaziani sintetizza con la calzante definizione di “connotazioni liriche astratte che si compensano qui grazie al peso, alla corporalità, all’aderenza fisica”.

Divisa in quattro sezioni o “cantiche” (Soglie, Cercherò 1’isola, Il cerchio dei respiri, Attimi, ultimi presenti) la raccolta di Luccia Danesin mi sembra ruotare intorno ad un “centro” ben preciso, che è dato dal rapporto dialettico – irrisolto – i cui vertici sono rappresentati dalla classica triade pensiero/parolal/silenzio.

La difficoltà dei rapporti interpersonali rende oggi aspri e stridenti non solo i contatti umani, ma la stessa capacità di analizzare, di “riflettere” su quei rapporti. I ricordi, le immagini prodotte dal pensiero stentano ad essere rielaborate: “nel setaccio | ho delle pietre sconosciute”, scrive la poetessa, ed anche “A volte mi sento lontana da tutti | come chi troppo debole | o troppo forte si sappia”.

La “forza” consiste nel fatto che “nessun sentimento e romanticamente gridato” (M.L. Spaziani); la “debolezza” potrebbe essere causata dal costante ritorno all’arbitrio filtrato dell’infanzia, al voler rimanere “all’interno, in profondo | bambina”.

In tal modo, lo sforzo maggiore che 1’autrice compie sembra essere non tanto, e non solo, quello di aprirsi agli altri, di rompere la gabbia che la rende “nuvola dentro | una conchiglia”, ma di cercare continuamente di decifrare – attraverso la crudezza di flash improvvisi – “come uno specchio | che si specchia” i rari frammenti di un segreto, “silenzioso, incorporeo” altrove.

Così intrappolata nel cerchio dei respiri, ossia in un nocciolo di fotogrammi da “archiviare/dispiegare” non si sa, bene come o a chi, Luccia Danesin conserva la lucidità necessaria per avviare la ricerca dell’isola, configurata metaforicamente come 1’attesa di un luogo fermo, possibilmente silenzioso e sereno, ove collocarsi “al centro | al nucleo | nodo | ordine del senso”, e lì aprirsi al futuro che verrà, non difforme – ahimé – dal “breve, insaziato presente”.

Una evidente nausea esistenziale (per nulla rétro) attraversa queste poesie, rischiarate per fortuna da visioni improvvise di languida ma aggraziata saggezza: Maria Luisa Spaziani conclude citando i magnifici versi: “La gatta che mi guarda, | con spicchi del tuo cielo”.

Luccia Danesin vive a Padova Ha già pubblicato la raccolta di poesie “Un fard rosso arancio” (1997). Appassionata di fotografia, ha raccolto le immagini di una sua mostra fotografica nel volume “Le ragazze di ieri” (2000, v. PdV n. 27, p. 67).

Recensione
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