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Nella parte iniziale del poemetto, intitolata “Anticipazioni di sguardi”, il pensiero fisso dell’autore continua ad essere rivolto alla donna amata, per quanto egli consapevolmente presagisca: “so che non ti avrò più“. Ci troviamo di fronte ad una apparente dicotomia di intenti e di situazioni: da un lato la navigazione di lungo corso vissuta come una misteriosa e sorprendente avventura metaforico/esistenziale che non esclude l’incontro con navi corsare, il rischio di smarrire la giusta rotta e neppure l’eventualità d’un naufragio; dall’altro il “sollevarsi lento dell’amore in controvento”, che corrisponde in sostanza al percorso segreto, illusorio e inverso inseguito dal poeta e che consiste nel rivivere fortemente col pensiero gli attimi felici trascorsi insieme con l’amata, “ricalcolando le distanze” e “rubando al silenzio le parole dell’amore”.

La precarietà della condizione descritta si sposa perfettamente col senso di solitudine in cui viene a trovarsi il poeta, che tuttavia percepisce – “accettando qualsiasi condizione” – il senso del proprio smarrimento e della propria emozione. Infatti, c’è un concetto-chiave che ricorre più volte nell’opera e che sta ad indicare questo fragile equilibrio, questo gioco sottile che è anche un gesto di sfida a metà strada fra coraggio e incoscienza, e che si colloca sulla linea di confine realtà/immaginazione. È lo stato d’animo contraddistinto dalla parola impertinenza, usata anche come aggettivo: “impertinenti assenze”, “impertinenti sguardi”, “impertinente pretesa”.

Roberto Casati ha scoperto quanto impercettibile e sfuggente sia la distanza che separa l’incombente azzardo dell’ignoto dal vivido ricordo d’uno sguardo d’amore “nella notte che confonde le ombre sulla marea”. Perché “Il senso dell’amore è tutto qui: | rubare al vento, con le parole, | un attimo già perduto”.

Sono questi, in definitiva, i “segnali che ancora non sappiamo decifrare”, quegli stessi segnali che comunque ci consentono di andare “oltre il sogno che credevamo perduto”. Una rivisitazione abbastanza originale dell’album di famiglia della poesia del nostro Novecento, che si stacca per la decisa impronta esistenziale sia dal timbro ironico della “navigazione blu” di Luciano Erba, sia dal netto rigore etico-religioso del “mare più giocondo” di Mario Luzi.

Recensione
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