La poesia di Renzo Cremona
trae alimento vitale e piena giustificazione dallo sforzo volto a “decifrare i
contorni” del “volto graffiato del passato”, che altro non è che “la memoria del
nostro futuro”.
Sono pensieri e visioni
“sporche di verità”, che si sviluppano lungo due linee direttrici fondamentali.
La prima è quasi aforistica, essenziale e asciutta: le riflessioni, che assumono
il carattere oggettivo ed universale della “massima”, tendono a misurarsi con
“l’eterna libertà provvisoria” della condizione umana. È il caso di poesie come
quella intitolata Paraklausithyron: “Quante sono le porte chiuse. | E
quante | dopo essersi aperte | rimangono ancora più chiuse di prima.”
Il secondo registro possiede
una connotazione più intima e privata, attenta alle implicazioni di natura
psicologica. Cremona scava nell’intimità del proprio “io”, confessando con
scrupolo quasi psicanalitico i tormenti ed i tumulti della propria anima.
Leggiamo alcuni versi da Zona d’ombra: “senza nemmeno accorgermene |
prima dell’alba | commetto di nuovo l’errore e | dopo avere rastrellato il
terreno arrancando sulle mie stesse orme | vado a leggere la mappa che tengo
accartocciata nella memoria.”
Esiste poi un terzo gruppo di
poesie, il cui numero è più ristretto, che contempla e unifica le motivazioni di
entrambe le linee principali, sintetizzandole nel segno della “comunicazione tra
sé e gli altri”, come si legge nella brillante Nota Editoriale. Una di queste
poesie si intitola Orizzonti: “Voleva vedere la luna. | E non aveva mai
visto dentro di sé. | Forse proprio per questo.”
Anche Breve discorso sulle
differenze risponde alla medesima esigenza: “diverso | mi vollero. | Per
timore di essere | uguali.”
Come appare
evidente, è un poetare estremamente interessante, acutamente pensoso epperò
scevro di noiosi e confusi intellettualismi, in possesso di un proprio solido
impianto limpido e lineare.
|