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Memodía sintetizza, ed
esprime, un “canto di memoria”, inteso come “planare di ricordi”. È l’effigie
sulla sabbia che la cifra del mondo vorrebbe ridimensionare e mortificare,
riconducendola a un minimalismo in habitus dimesso e perdente, ripiegato su se
stesso, retorico se non avvilente. Ben diversamente stanno le
cose, ed è su questa scommessa che Lucia Gaddo Zanovello imbastisce un discorso
di originalità e valore: “la sferza degli eventi | e l’assedio delle prove |
fanno di te il diamante | che ora sa di fango.” Ogni esperienza di vita
vissuta è, in realtà, un “rivo di libertà”, che può misurarsi relazionandone gli
esiti con le regole della collettività, con le aspettative del prossimo e con
gli affetti delle persone care. L’autrice poggia sulla base
dei sentimenti concreti i presupposti del proprio percorso poetico, dimostrando
tutta l’efficacia e la consistenza della propria fede, del proprio ideale di
dedizione e lealtà ai ricordi, alle immagini, al rimpianto di una vita vissuta
in armonia non soltanto con la sfera più intima e privata.
Diversi passaggi-chiave
chiarificano l’ impegno di Lucia Gaddo Zanovello, la sua vigile e disincantata
attenzione per i patimenti del mondo, “perché è così trasparente l’esistere”.
Pure, resta il tormento di doversi limitare ad accertare – e quindi accettare –
come “nella selva delle possibilità | muove e muore tanta umanità”.
Di fronte a tante rovinose
sciagure, “tutte le morti ci vedono | urtare i vetri illusori | della
finitezza”. Nessuno si illuda di poter combattere il male, che sia l’anima
percossa dai “rintocchi del richiamo” oppure “di amorosi sensi piena”.
È una poesia dolcemente
innamorata del sogno e della speranza, aperta al “vagheggiare” e disposta al
“rischio”, nonostante la certezza del “lamento di vita veniente”.
Al di là del vivere e del
morire, rimane “la magia del volo alto”, per quanto attesa vana d’una ricompensa
finale, del riscatto che tutto infiamma e sovrasta: “ma il pensiero, no”.
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Recensione |
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