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Prefazione al libro
Tutti gli uomini bevono vino
(la storia del ragazzo che non beveva vino)
di Mauro Marzi
Roberta Degl'Innocenti
Mauro Marzi si presenta con un nuovo romanzo, Tutti gli
uomini bevono vino, che si colloca dopo Zita (L'uomo che ascolta).
Ritroviamo lo scrittore lucido e talvolta disincantato, oppure tenero di una
tenerezza che si stempera in toni di accorato lirismo.
Due romanzi diversi, seppure è uguale lo sguardo dell'autore
di fronte alla vita ed agli eventi che la compongono: uno sguardo preciso che
non indulge mai nella malinconia distratta di un'esistenza scandita dal ritmo
del tempo e delle situazioni alle quali soggiacere o combattere.
Quando Mauro Marzi ha descritto Casa Primavera ci
siamo sconcertati o commossi, quasi facendo nostra la vita nella casa di riposo,
dove la diversità diventava rabbia e candore e per candore intendo una pulizia
di intenti. Adesso ci propone una storia corale, un percorso, un periodo
storico, se vogliamo, che accoglie tanti accadimenti dei quali molti di noi sono
stati partecipi, o comunque coinvolti, magari tramite i racconti dei genitori o
dei nonni. E' la vita prima e dopo la guerra, sono le fatiche, le sconfitte, non
ultimo il progresso, filtrato anche nei particolari, apparentemente
insignificanti, che hanno segnato le ore e le stagioni in gesti quotidiani dei
quali riscopriamo l'essenza.
Quindi Tutti gli uomini bevono vino è la storia di
tante piccole e grandi esistenze, un sussurrio di voci, sommesse o decise, una
canzone d'epoca che ci riporta indietro; è l'ansia di talune aspettative che i
giorni inghiottivano una dopo l'altra.
In tutto questo movimento, in questo brulicare di sentimenti,
la condizione della donna appare sempre evidente e dolorosa. Donne-madri, madri
operose, mai stanche, spesso relegate in un angolo dalla storia, spesso
protagoniste con una purezza di sentimenti che incanta, spesso calpestate da una
condizione atavica dalla quale pareva quasi impossibile uscire. Ogni donna è un
grido sommesso in quegli anni di lotte e di canti, anni dove la civiltà
contadina ha quel sapore di arcana bellezza mista a sudore che il progresso
inesorabilmente scandisce e schiaccia.
“Tutti gli uomini bevono vino” - lo dice il padre ad
Andrea - ma ad Andrea non piace bere vino e non può così dimostrare la sua
mascolinità.
Meglio far finta di berlo; meglio sputare per terra con una
bestemmia, vanto dei vecchi e della condizione prevista per essere uomo.
Andrea però ha una sensibilità disarmante e proprio tale
sensibilità lo porta a porsi lui stesso nella condizione di elemento pensante,
non strumento di convinzioni e di regole stabilite per comodità e mai rivedute.
Andrea respira libertà, già da bambino riesce a farlo,
questa libertà interiore gli permetterà di andarsene, di volare, anche se il
comprendere può fare male, non si può lasciare opprimere la mente da quella che
viene considerata "una sana ignoranza".
Andrea non lo accetta, sceglie di capire e di capirsi.
Tutto il libro si snoda in queste variegate storie: da Andrea
ai vari personaggi che affiancano la sua vita, la intrecciano, la intersecano
con la loro molteplicità.
Già la bella epigrafe, un testo di Fabrizio De André, è
quasi un'immediata chiave di lettura: "Andrea s'è perso", ed anche
l'Andrea del romanzo lo ha fatto: dentro ai suoi pensieri, dietro le scelte per
una vita alimentata dal coraggio dell'individualità e non dagli schemi
prefissati che codificano l'esistenza dell'uomo e della donna.
Al di là dei singoli eventi, che il libro traccia e spiega, è
importante la rigorosa ricostruzione del periodo storico, anche per quanto
riguarda i fatti "minori", con una documentazione minuziosa.
Per non svelare ulteriormente la trama preferisco non
fermarmi sui tanti personaggi, e su ciò che Mauro Marzi ci invita a leggere,
pagina dopo pagina, cambiando spesso interlocutore, poiché è sempre lui che
narra e sospinge la storia. Scelgo altri sostanziali elementi.
La vita, sembra dirci l'autore, è una stagione, inizia,
termina e si traduce in sentimenti, si alimenta di affanni quando la precarietà
di tutto ciò è palese, l'uomo e la donna sono minimi frammenti in un cosmo dove
è importante operare e scegliere in base alla propria identità, in modo che il
percorso sia un continuo fermento.
A proposito della donna, così ampiamente ricordata da Mauro
Marzi, rammento un testo di Cesare Pavese, la poesia intitolata, appunto,
"Stagioni", citandone l'inizio: "Questa donna una volta era fatta di
carne/fresca e solida: quando portava un bambino,/si teneva nascosta e
intristiva da sola."
Ma la stagione non è solo donna perché ogni figura maschile è
altrettanto importante, in questo affresco che Mauro Marzi dipinge, per parlarci
dei "ragazzi di dopo la guerra". Uomo-padre, uomo-capofamiglia, emblema di
potere personale dettato dal diritto fatto dagli uomini e costruito per gli
uomini, anche se poi è sempre la donna che - silenziosa - alimenta le scelte.
Ho nominato "i ragazzi di dopo la guerra" perché l'autore ne
parla spesso, anzi usa queste parole quasi come un intercalare, le enfatizza
forse per dare maggiore impeto alla frase. La guerra era distruzione, miseria,
senso di orrore trattenuto in un dignitoso silenzio di fronte alla morte, questi
ragazzi sono la speranza di un futuro da percorrere a piene mani, cercando di
raccogliere i frutti di un lavoro e di un progresso rapido, incalzante che ci dà
la misura del tempo e dell'essere giovane in un momento pieno di promesse
accattivanti.
"I ragazzi di dopo la guerra" siamo noi, è l'autore stesso,
con le aspettative grandi, con il cuore colmo di desideri che assorbono veloci,
che premono sul respiro, sulle azioni, captando un attimo, un frammento, un
ritmo nuovo, come il sentirsi parte di una storia nuova da scrivere e
raccontare.
La religione è un altro elemento fondamentale del libro,
l'autore dice - o fa dire -, in relazione all'indissolubilità del matrimonio, "in
un paese dove la fede era il baluardo e la famiglia lo scopo". Si
tratta di una fede che pervade ogni gesto, ogni proposito, lo sovrasta per
divenire culto di vita e definire così la propria identità in seno alla
famiglia e soprattutto nella società.
Vorrei concludere ricordando alcune pagine nelle quali si
configura l'elemento poetico che accompagna, in maniera non meno evidente,
Mauro Marzi poeta a Mauro Marzi scrittore: Andrea vede per la prima volta il
mare, con lo stupore e l'incanto del materializzarsi delle sue fantasie bambine,
il mare come un sogno ad occhi aperti dove l'orizzonte pare un mistero
irrivelabile: "la consapevole certezza che mai avrei potuto raggiungere
quella traccia infinita". Oppure ancora: l'astuccio del primo giorno di
scuola, composto da dodici bastoncini colorati, ma tutti quei colori non
riescono a rappresentare nemmeno in parte "un campo di grano prima della
mietitura, quando lo stelo ancora verde alla base, diventa colore dell'oro
all'estremità". Colori ai quali l'uomo ha voluto dare un significato
rendendoli partecipi delle sue scelte - ci dice l'autore - e prosegue, tramite
la bella figura materna che di fronte al celeste e al rosa, da sempre simboli
quasi storici dell'essere uomo e donna, maschio e femmina, supera questo
condizionamento scegliendo il blu, anche se non lo ama, solo perché va "oltre
il celeste assegnato a voi uomini".
Tutti gli uomini bevono
vino è un romanzo
che parla al nostro cuore, ci fa ricordare un momento importante: quando la
civiltà contadina lascia il posto al progresso, rappresentato dalla fabbrica, ci
fa sorridere e riflettere, così anche le voci che trapelano dalle pagine:
Renata, Luciana, Licia, e più di ogni altra Andrea, saranno voci strappate al
silenzio e al tempo, ma che nel tempo ritrovano il senso della storia, con
dolcezza o rabbia, e soprattutto fervente umanità. | |
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