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Flavia Lepre, con le trentatré liriche di "Fantasticare…" si pone
all’attenzione come monologhista, ossia come poetessa del soliloquio. Ricorre
nei versi il riferimento a se stessa forgiato ad un uso interiore, ad hoc.
La ragione, che poi si concretizza nella sua poesia, sembra cercare
spiegazione o comunque motivazione nel rasserenamento del proprio Io, o meglio
della propria anima.
La tipologia poetica, dalla struttura monostica, sorretta da un’estetica
pervasa di prosa che sa attingere da un grande sentimento e dalle inesauribili
amenità insite nelle risorse della Natura, si divincola tra il pessimismo (cfr
"Pessimismo", "Riflessioni dolenti", "Guerra", "Pioggia d’estate"…) ed il suo
fisiologico superamento, intravisto, da quanto si evince anche in taluni
passaggi impliciti, nella morte (si veda soprattutto "Ora vi lascio").
I versi, non calibrati al canone, si combinano in rime sporadiche, assumendo
ad arte, nelle forti emozioni impresse dall’Autrice, un icastico costrutto di
‘isole di rima’, in quanto sono consecutive, triple ed a volte ancora più
reiterate, talvolta riprese dopo un salto di appena un verso (cfr "Ora nel
silenzio…", pp. 49 e 50). Si parla dunque di rima baciata o continuata. Molto
raramente, direi residualmente, si osserva pure la rima alternata.
L’influenza della poetica del Leopardi è quanto mai evidente in "Naufragar…"
fin dal titolo dell’omonimo componimento. Vedrei però anche in altri contesti
predisposizione al concetto leopardiano. Il fatto stesso che la poetessa
dichiari il suo pessimismo è fattore fondamentale in tal senso.
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Recensione |
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