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L’Autrice, la padovana Nicoletta Canazza, due lauree, è giornalista de “il Sole 24 Ore”. Fortuna brevis, romanzo, segna il suo debutto nel mondo della narrativa.

All’insegna di “una specie di fregatura” (p. 60), la ‘fortuna brevis’ ha tutt’altro senso rispetto al famosissimo detto: “La fortuna aiuta gli audaci”. Se quest’ultimo modo di dire sollecita una sferzata d’ottimismo, dando stimolo ad agire secondo la propria ragione e volontà, ‘fortuna brevis’ implica una fortuna spoglia dei suoi elementi caratterizzanti, nuda, completamente svuotata. “Perché non credo ci sia altro modo di riconoscerla che guardandosi indietro, quando è troppo tardi. […] Ma anche per l’altra fortuna, capita di accorgersene solo quando è già corsa dietro a qualcun altro” – in ibidem. Sono due affermazioni, potenzialmente interpretabili come autobiografiche, che, pur partendo da un plafond alquanto pessimista, aiutano a rincorrere il dinamico significato del romanzo. “Una storia di storie” ben lo colorisce Riccardo Roversi, nella sua nota di copertina. Effettivamente la trama è parecchio modulata, sviluppata a più voci narranti (quattro, cinque o forse sei), e soprattutto spalancata ad identità continuamente sfuggenti di una caterva di personaggi, che sbucano uno di seguito all’altro come dal cilindro d’un illusionista. Chiaramente, a fine libro le individuali, molto peculiari vicende, correlativamente ai diversi interpreti, filano a meraviglia. Ma fino all’ultima pagina (se non proprio l’ultima, qualcuna prima) l’Autrice inculca nella testa, di chi in quel momento è un confuso lettore, un caos… apparente. L’idea provvisoria è di un dipanarsi di aneddoti, avventure, racconti, scorporabili dal contesto, volendo. Una sterile sequela, insomma. Ma come capita in un accurato inventario ragionieristico, giunge il momento determinante che fa piena luce laddove sembrava non essercene per niente. E – già lo dissi – ormai s’è giunti alla fine. A tal punto ci si accorge d’essere parte in giuoco e di volere ancora una storia da divorare, con la medesima possessione che ne suggella un’emotività variabilmente godibile, addirittura penetrante.

Recensione
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