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Passione e ‘vizio’ dello scrivere
Gianfranco Rossi scrittore ferrarese
Gianfranco Rossi, nato a Ferrara il 3 novembre 1931, ivi è deceduto il 12
aprile 2000. Di religione ebraica, per discendenza piuttosto che per vocazione.
Come lo fu Giorgio Bassani, suo cugino, scomparso pressoché contemporaneamente
(Bologna 1916 - Roma 2000): il giorno precedente, una dozzina d’ore prima.
Proprio per la religione, appena dodicenne, a causa della persecuzione razziale
nazifascista, dovette rifugiarsi colla famiglia in Svizzera, dal dicembre del
’43 al luglio del ’45. La famiglia, per le diverse destinazioni, venne
smembrata. A lui toccò una località nei pressi di Lucerna – cfr Gli spettatori
dimenticati, Milano 1991.
Ad un anno dalla morte, nella sua Ferrara, gli è stato istituito alla memoria un
Premio biennale di letteratura, inizialmente aperto ai giovani e vertente su
diverse sezioni. Concorso regionale, che già alla seconda edizione avrà respiro
nazionale e con apertura a tutte le età. La giuria è variabile. Unico membro
effettivo stabile è il vicepresidente, che rappresenta il Gruppo Scrittori
Ferraresi, l’associazione che ha in gestione il Premio. Ed il 12 settembre
dell’anno appena passato, sempre a Ferrara, c’è stata l’inaugurazione di un
vialetto a lui intitolato, il cui nome va pertanto ad inserirsi nella
toponomastica cittadina.
Gianfranco Rossi fu uomo ed artista estremamente introverso, timido,
riservatissimo. Nella sua vita privata fu uno scapolone. Ma se da una parte
visse tale solitudine, in compenso, dall’altra vi fu l’ospitalità di un nugolo
di piccoli animali, soprattutto gatti, a fargli compagnia. Le sue opere non
mascherano la presenza di animali, dei suoi animali, ognuno con un proprio nome,
una propria identità anche comportamentale, in quanto formavano, essi e lui
insieme, una vera comunità, per una convivenza sui generis, del tutto
particolare, domestica eppure familiare. In Dialogo segreto – storie di gatti,
pubblicato a Ferrara all’indomani della sua scomparsa, prima opera postuma, il
soliloquio dello scrittore assume impronta di dialogo tra lui ed i gatti
conosciuti, presenti e passati. Artisticamente fu, dunque, altrettanto
‘silenzioso’, cantore di circospette ‘ombre’.
Ebbe esperienza giornalistica essenzialmente in qualità di critico del cinema
– Gazzetta Padana e Resto del Carlino. Fu oltretutto poeta. Anche il suo
narrare, di sovente supportato dagli aggregati più commoventi della natura, è
intriso di poesia, sorretta da una preponderante, e persino esondante, teoretica
dell’io. È uno scrivere, quello di Gianfranco Rossi, interiore, in concomitanza
coll’esigenza di radicare la sua fantasia di narratore alla terra d’origine. Un
raccontare che nasce come sfogo nel rappresentare la sua solitudine di uomo
vissuta tra gli animali delle mura casalinghe, cosciente del peso di una
socialità – secondo una sua proiezione idealistica – determinata dalla tirannia
del caso. Spesso autobiografico. I suoi contesti si estrapolano da una fatalità
grottesca. Ed è dalla coscienza d’una simile filosofia che i personaggi dei suoi
racconti o romanzi tendono ad emarginarsi, ipotizzando a mezza via tra sogno
onirico e fantasia, o agendo di fatto nel senso della trasgressione, etica ma
molto spesso di natura meramente sessuale. Da quest’ottica egli si avvicina alla
letteratura pasoliniana. Il più delle volte i protagonisti maschi che rendono
vita alla narrativa di Gianfranco Rossi incarnano le vesti della ‘diversità’
omosessuale. Più in generale, i suoi umili eroi sono assolutamente in balìa del
destino, assoggettati e peraltro assuefatti alla paradossalità incontrollabile,
sovrana, degli eventi estemporanei. Appaiono impotenti. Dall’incertezza del
divenire, nel loro domani, sembrano essere continuamente presi in giro.
Interpretano la contraddittorietà d’un finalismo incomprensibile,
concettualmente irraggiungibile. Sono figure che, iniziando dal nome – spesso
identificate nella completezza d’un cognome – fino ad arrivare al rendiconto
della vicenda che ne conchiude la singola trama, ricoprono ruoli dimessi,
denotando stranezza; ambiguità prima di tutto civica e quindi sessuale; in
una parola: ‘unicità’. Eccoli i personaggi inventati da Rossi: Fosca
ed Elvio, Lazzarella, Palmirosa e Aldovina; Espedito, Basilio e Medarda Bastoni,
Melissa Zoia, Ascania Pesci, Celso e Celio Zigiotti, Gioiella Carnemolla…
(personaggi tutti tratti dalla seconda opera postuma, La maldicenza e altri
racconti, introdotta e curata da Roberto Pazzi, Reggio Emilia 2001).
Raffinato scrittore, da buon insegnante di lettere qual era, prima alle medie
dell’obbligo e quindi alle superiori (pensionato dall’89), Gianfranco Rossi non
amava lasciare troppi spazi bianchi sulle pagine del libro. Semmai scriveva
fitto, in maniera compatta. Rari gli accapo. Forse c’era qualcosa di
morboso che gli premeva dentro, che lo assillava. Un’esigenza frenetica,
impetuosa come la piena d’un fiume, che lo faceva scrivere scrivere e scrivere,
senza sosta, ininterrottamente, si direbbe ossessivamente.
Talora sogno e realtà s’intrecciano con esiti neppure tanto imprevedibili, dal
risvolto sconvolgente oltreché trasgressivo. Per vari aspetti v’è affinità
all’aneddotica dei Miserabili di Victor Hugo, coerentemente rapportando le trame
alle correlate contemporaneità. Più frequentemente, quasi per regola,
s’intravede la fatalità del ‘ciclo dei vinti’ di Giovanni Verga.
Il suo curriculum letterario è ricco sia di opere sia d’importanti menzioni. Da
La dignità del 1965, Firenze, si nota una vacanza. Una parentesi riflessiva in
cui lo scrittore focalizza i programmi letterari. Si limita intanto a brevi
pubblicazioni di racconti su determinate riviste (Il Caffè, Segnacolo, Paragone,
Sinopia, Tempo presente…). Anche in seguito i suoi libri di narrativa sono
in prevalenza raccolte di racconti. Nel 1981 esce la sua seconda ed importante
pubblicazione: La contentezza (Roma) ed è tra i finalisti del premio Viareggio.
Nel 1984 pubblica Il trionfo dello sciamano (Catania). Quindi, con I sogni
ricorrenti di Biagio Balestrieri (Catania 1986), Gli ultimi avventurieri
(Ferrara 1987), L’intreccio (Roma 1989), è sempre finalista al premio Dessì. Del
1993 sono Come quelli che vivono (Roma) e Puttaneggiar coi regi (Ferrara);
quest’ultimo, eccezionalmente di rilievo storico. Conversazioni con il silenzio
(Ferrara 1995) e Gli amici del buio (Firenze 1997) sono, come il già citato Gli
spettatori dimenticati, del tutto autobiografici.
In qualità strettamente poetica ha incominciato tardi a scrivere. Si rammenta
infatti Virtù dal cuore fragile del 1997 (Ferrara) e Mie care ombre del 1999,
autoproduzione in tiratura limitata. Ed è precisamente di quest’opera che se ne
sta occupando un editore ferrarese, per renderla pubblica a largo raggio di
distribuzione. Il libro (che costituirà la pubblicazione della sua terza opera
postuma), s’intitolerà Mie care ombre ed altri inediti e recherà la prefazione
del regista Florestano Vancini.
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