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Il sale dei baci di
Nevio Nigro è, come scrive l’illustre prefatrice, una silloge dai “colori puri,
ritmi semplici, metafore immediate, simboli impliciti (...) e sintassi abolita”,
in quanto i versi sembrano esplicarsi nel non-scritto. L’incrociarsi della
semplicità del parlato con l’efficacia estetica danno una resa eloquentemente
poetica. Penso a Sandro Penna ed in parte a Vittorio Sereni. Il cimentarsi,
affidandosi a scarni elementi realistici ma efficaci, elementi ripetitivi, dà
l’idea d’un saltimbanco della poesia. Nel verso, di preferenza distico, si è
sbalorditi dall’intensità concettuale. Taluni versi-strofa lo denotano
ulteriormente. Sono folgoranti esibizioni che lasciano spazio ad una fantasia
differenziale, aggiuntiva: quella del lettore, che si può sbizzarrire nello
sviluppo della propria parola.
Da p. 62 a p. 73, prendendo
una casuale serie d’esempi, si osservano strofe lapidarie, appunto di un unico
verso. “E non si perde il suono.” “Si parlava di mare.” “Profumo di parole.”
“Cancellano ignote paure.” “Assomigliano al tempo.” “Non hanno peso.” “Non aveva
ancora odiato.” “Penombre nella notte.” “E musiche di mare.”.
Nell’insieme il tentativo
d’un’inter<->pretazione teleologica s’incenerisce al cospetto d’una morte
dall’esclusivo significato di frustrazione. Una morte avvertita immediatamente
nella carne, nella dimensione strettamente terrena. Ogni altra ipotesi più
sottile ed astratta non concede indagine.
Il costrutto,
pur nelle concrete e complicate maglie d’un materialismo che potrebbe apparire
poco utile alla poesia, riesce, al contrario – magia delle magie –, ad avere
mirabili e fecondi sbocchi. I motivi estetici nascono proprio dall’apparente
sterilità concettuale.
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Recensione |
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