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L’alba del deserto apre la complessa, multistratificata trama del libro.

L’opera in sé romanzesca si spalanca alla cinematografia, confondendovisi, a volte dissolvendosi in essa. Dopo il deserto le prime bozze di personaggi. Comparse in attesa d’essere selezionate per un imminente lavoro. In attesa dell’apertura della porta del Vecchio Teatro. Porta certamente più vetusta di quel luogo di produzione: è la porta che l’uomo vorrebbe varcare da che mondo è mondo, per entrare nel vivo dei suoi desideri, del suo atavico bisogno d’assecondare una sete di successo, di fama, o quanto meno d’emersione dalle tenebre dell’anonimato. Non è mera e pura esigenza di guadagnarsi la pagnotta. Tra le comparse si delineano quattro personaggi. Due maschi e due femmine: Marius e Andrea; Lara e Charlotte. Per questi interpreti, “l’alba sul deserto, la luce del Vecchio Teatro... si fusero insieme. Si animarono le parole, i colori, i suoni e le immagini… Da un film nacque un concerto, da un quadro un romanzo” (p. 26). Nacque il romanzo, trovando una sua consequenziale trama. In un colabrodo di flashback e dissolvenze, tra reiterate traslazioni cinematografiche e narrative, spesso in vertiginose galoppate di storia, l’autore ci riserva l’inserzione di un romanzo nel romanzo principale: fiction and fiction. La proiezione narrativa di tre iniziali archeologi (Seedert, Herbert Von Staudte – interprete essenziale e finale –, Hubley) gira di pari passo all’immedesimarsi delle comparse, le quali assumono la veste degli ulteriori personaggi chiamati schizofrenicamente in causa nell’intreccio del romanzo.

Si varca la soglia del Divino. Si va alla ricerca di qualcosa “di tremendo e di meraviglioso” (p. 95), da sottrarre al deserto egiziano. Scavi archeologici dunque. Vi si rivela un tempietto dedicato al dio-Sole: “la Celletta”. Parallelamente vi è la ricerca, altra dal divino, d’un probabile tesoro. Ed il tesoro appare solo a Von Staudte, che più di tutti lo cerca. Un valore inestimabile, per questo non realizzabile: l’egoistico valore venale è sopraffatto dal valore cultuale-culturale. Il tempo se ne riappropria, risotterrandolo.

Dalla Napoli del Vecchio Teatro si è eiettati a Brema, Amburgo, Magdburgo… Egitto: Alessandria, Il Cairo, El Giza, teatro degli scavi. È l’Egitto compreso tra re Faruk e la rivoluzione del colonnello Nasser, 1943-81.

La finzione romanzesca, che già s’innesta in quella d’una sceneggiatura cinematografica concitatissima e convulsa, ha ulteriori risvolti onirici a traviarne la linearità.

Recensione
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