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Un problema irrisolvibile?
La traduzione nella letteratura
1. Questioni generali.
La versione in italiano dei testi letterari in lingua straniera, in idiomi
dialettali, o di lingue antiche, apre problematiche non di scarsa importanza.
Più i testi hanno rilevanza artistica più occorrerebbe dedicarne attenzione.
L’attenzione bisognerebbe usarla soprattutto nel senso di tralasciare la propria
personale, arbitraria impronta a volte stilistica ed a volte persino formale. È
il caso in cui, in particolare nella poesia o nel poema, si pretenda di dare
diverso schema alla struttura: introduzione di rime che nel testo d’origine non
ci sono, o soppressione delle rime preesistenti; riadattamento dei versi;
vistosi cambi di sintassi; allontanamento eccessivo, affatto corrispondente al
testo tradotto, dei predicati rispetto ai soggetti, oppure loro ingiustificate
inversioni. Sono delle forzature belle e buone che si notano con frequenza
allorché il traduttore sia uno scrittore del medesimo genere letterario
tradotto. E con rammarico devo aggiungere che maggiore è la fama dello
scrittore-traduttore maggiore è l’interferenza nel testo traslato. Vera e
propria falsificazione, talora. È un peccato, perché il testo perde l’identità
estetica ed allontana, non solo il potenziale lettore ma, cosa gravissima, anche
il critico, dall’idea poetica dell’autore tradotto. Si aggiunga spesso una
riconosciuta, insuperabile incongruenza grammaticale e sintattica tra lingua e
lingua tale da pregiudicarne la simmetrica costruzione delle frasi, implicando
inevitabili dislocazioni delle sue parti elementari. Ad alti livelli
d’affermazione artistica sussiste una conclamata impossibilità di rendere
perfettamente corrispondenti taluni passaggi dalla lingua d’origine alla lingua
tradotta. Ma il problema di fondo nella traduzione è indubbiamente la
sofisticata, complessa individualità espressiva, non solamente stilistica,
dell’autore straniero. Perciò se da un lato si cela il determinante, basilare
nonché generico ostacolo squisitamente linguistico d’altra parte persiste
l’inconveniente afferente il marchio artistico dello scrittore. Si tratta d’una
caratura intrinsecamente intellettiva, rispondente ad un quoziente culturale
variabile, generalmente dipendente dall’istruzione e/o dall’esperienza di varia
provenienza intellettuale. È in gioco la preparazione nozionistica e concettuale
dello scrittore da tradurre. Crescendo l’indice d’acculturazione dell’autore
straniero proporzionalmente aumenta il rischio di contaminarne la traduzione. È
fuori dubbio che la maggiore o minore elaborazione del testo possa condizionare,
nel rapporto direttamente proporzionale, il rischio d’una manipolazione
linguistica, a prescindere dalla padronanza di bilinguismo del traduttore.
È inoltre da ritenere che il genere letterario incida parecchio. Il testo
narrativo, inteso nel suo ampio significato (racconto o romanzo; diario;
raccolta aforistica; ricerca monografica, storica, filosofica, sociologica ecc…)
riduce l’alea rispetto al testo poetico. Se non altro, nella prima ipotesi, per
quanto il traduttore si discosti dalla lettera, l’esito solitamente non
pregiudica oltremodo il significato contestuale. Viceversa, nella versione di
scritture poetiche, specialmente se di contenuti metaforici notevoli, l’
infedeltà sia pur minima può arrecare pregiudizio fino a stravolgere il
significante.
Va da sé che qualora non sia attendibile la versione, in quanto malriuscita o
malvoluta, ne venga svilita la cifra stilistica dell’autore straniero. Ma non è
da escludersi il contrario, ossia che venga sopravvalutata la capacità artistica
dell’autore. Comunque è chiaro che se ne percepisca un’attitudine falsata.
2. Questione meramente di lingua
Quanto finora analizzato vale non solo per la versione in italiano ma in
generale per le lingue occidentali.
Senza andare per mezze misure si prenda in esame la situazione limite della
letteratura cinese.
Il divario stilistico tra gli scrittori cinesi è pressoché inesistente, in ogni
epoca. Si potrebbe anzi affermare che nello scrittore cinese, poeta incluso, non
esista un differenziale di stile se non, unicamente, nella propensione
individuale d’interpretare il fantastico. Ma circa il linguaggio crederei
impossibile, o estremamente arduo, prodigarsi in un distinguo. La fantasia
dovrebbe incidere sull’identità del singolo scrittore cinese in via affatto
esclusiva. Non so se altri elementi, oltre al motivo fantastico, possano
caratterizzarne la qualità.
Abbinato a tale ostica situazione esiste un grosso problema per i traduttori dal
cinese. La cosiddetta barriera linguistica rappresenta l’impossibilità, di tipo
strutturale, di tradurre gli ideogrammi (la tipica scrittura cinese) nei
circostanziati lemmi delle altre lingue internazionali. L’ideogramma è una
scrittura – ed è altresì un modus di parlare – che non consente diversioni
rispetto al concetto esplicativo. Sostanzialmente, in Cina si ragiona e si parla
prevalentemente, se non esclusivamente, per schemi mentali piuttosto che per
concetti linguistici. La metafora ad esempio, cardine estetico della poetica, è
di difficile uso ai fini dell’applicazione linguistica. Non è improponibile ma è
certamente ostico introdurla. Bisognerebbe darne una configurazione alquanto
ricercata. In Cina tuttavia esiste la poesia ma è un tipo letterario
imprigionato nelle strettissime maglie, elusive, isolate, dell’arte cinese.
Anche perché il regime opera, da sempre, una repressione politica che ha
ripercussioni globali, e le arti non se ne sottraggono.
Il procedere dei poeti cinesi, non potendo sostanziarsi che in una secondaria,
non immediata raffigurazione iconica, tra l’altro non può neanche sfruttare, in
alternativa, le anguste ed astruse vie dell’ambiguità, della doppiezza della
parola. Davvero una grossissima impresa per i Cinesi scrivere in versi
considerato il loro tortuoso, astruso mezzo di scrittura.
Tra di essi è palesemente indicato un pressoché indifferenziato percorso
poetico, grazie al quale hanno potuto perfino esplicare una certa dissidenza nei
confronti del loro governo, nonostante la pressante censura. Il Menglong
(letteralmente: oscuro-semioscuro) annovera i poeti cinesi attivi fino al 1980.
Successivamente, sino ad includerne i contemporanei, vengono etichettati come
Post-menglong. Questi ultimi denoterebbero, nella loro esaustiva manifestazione
estetica, significative note dal variegato tono crepuscolare.
In conclusione, barriera cinese a parte, nel momento di leggere un libro
tradotto è sempre lecito porsi la domanda: “L’opera che leggo è realmente
attribuibile all’autore di copertina o è piuttosto un accomodamento
dell’interprete?”.
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