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Carla Baroni è poetessa dalla
raffinata leopardiana delicatezza, È quanto emerge da quest’opera.
Lo zufolo del Dio silvano
è un poemetto pastorale misurato sui cinquanta canti, irregolari per lunghezza,
monostici, ma pressoché regolari nella lunghezza metrica, dodecasillabi. Per
quel che concerne invece la rima, se ve n’è traccia dipende solamente da un
fattore casuale. Mentre le varie altre forme di cadenza ritmica di più moderna
adozione non sono affatto rinnegate. Anzi!
Lo zufolo del Dio silvano
invera la metaforica vicenda di un’illusione d’amore, dal carattere
autobiografico, sembrerebbe.
“Lo zufolo” e parallelamente
il “Dio silvano” rappresentano rispettivamente ‘lo strumento’ ed ‘il
protagonista’ al maschile di una love story appena abbozzata. Esperienza che
comunque lascia il suo segno indelebile nella protagonista, voce narrante del
poema.
A parte la ben comprensibile
allegoria dell’amante dio silvano, lo zufolo, specialmente nella parte finale
dell’opera, assume ruolo di concreta entità. Come venisse personificato. Il
fallimento del rapporto amoroso, la dolce lusinga, ossia la mancanza di
continuità di una storia a malapena iniziata, traspare eloquentemente nel
concreto tentativo della protagonista di ideare uno zufolo analogo a quello che
il “Dio silvano” aveva con sé nel momento topico in cui s’innamorò, dopo l’atto
sessuale che inequivocabilmente s’intuisce abbia subito. È un approccio più
volte mancato, sia per l’inadeguatezza del materiale sia per l’artigianale
trasformazione: “Come sembrava facile alla mente | fabbricare uno zufolo di
canna | ed è invece impresa disperata”. A furia di tentativi finalmente la sua
costruzione riesce ma il suono è assolutamente diverso dallo zufolo del dio
silvano: “Provai e riprovai con foga intensa | le mosse delle dita e il soffio
greve | in quel pezzo di canna ma ne esce | solo qualche strozzato lamentoso |
suono che rassomiglia ad un vagito | di un bambino che abbia molta fame”.
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Recensione |
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