È notevole il modus di
scrivere in versi di Giuseppe Carnabuci. Nella presente silloge ne viene fornito
un esempio di costante intensità, senz’alcun calo di tenuta estetica e
stilistica.
L’epigrafe, tratta dalla
poesia Verde deriva, di Salvatore Quasimodo, funge veramente da icastico
incipit della raccolta.
Nell’insieme sono esattamente
trenta componimenti a versi sciolti, indifferentemente monostici o strofici.
Il fulcro della poetica di
Carnabuci sta nella palese mancanza di referenzialità. È una poesia che nella
sua astrazione trova peculiare incisività. Sa trovare incentivo sintattico
esordendo da concetti piuttosto che da prestabilite realtà. Proprio nei concetti
egli sa trovare gli appropriati soggetti del predicato.
Di tutta la silloge solo tre
componimenti sono incentrati su concreti soggetti.
In Percorsi stretti è
un generico “qualcuno” a fungere, non da principale bensì da secondario soggetto
– cfr. p. 34. Mentre in Girasoli i versi trovano, negli omonimi fiori, un
loro concreto sostegno verbale, anche se non è un’essenza umana a reggere il
periodo. Ed è un preludio. Di fatto, la successiva Prospettive indica
finalmente il medesimo poeta quale referente assoluto della contestuale
argomentazione.
Inoltre nella pittura di
Carnabuci, desumendolo dalla copertina, appare quell’analogo carattere privo di
presenza tanto umana quanto, più genericamente, animale. La mancanza o comunque
la forte carenza di referente è applicata in maniera opportuna. Altrimenti
l’effetto estetico, fortemente intellettivo, sul quale punta l’autore, verrebbe
scemato. È un espediente artistico ben governato ai fini di un risultato ad hoc.
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