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La presente, ultima, raccolta
di poesie di Sergio Barbieri conferma un esistenziale pessimismo di fondo: “Si
nasce nudi e sanguinanti”; “La fatica di vivere || ti segue come un’ ombra |
assieme ai fantasmi | del tuo passato”. Il Poeta giunge ad esasperare,
appesantendone il senso, il famoso brano (che, se non vado errato, è un titolo)
di Pavese.
“Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi” diviene “verrà la morte ed avrà
i miei sogni”. Il margine di pessimismo è accentuato dalla dimensione onirica
che vela la realtà in Barbieri, rispetto alla versione pavesiana in cui la
misura è visiva, dunque reale – è un prenderne meramente atto. È il sogno,
pesante come un macigno, irrealizzato, mancato, a caratterizzare il contesto
dell’opera di Barbieri. La vita, la poesia stessa, nonché la morte, parentesi
finale del percorso umano, si sciolgono nella corrosività del sogno.
Il sogno,
per Barbieri, è futuro, ancor prima che presente. Sogno è il passato. Al tempo è
data, consequenzialmente, un’interpretazione massiva, onnipresente nei versi.
Spesso è usato con l’iniziale maiuscola ad evidenziarne la funzione demonizzante
nel cammino, ma addirittura nella volontà, dell’uomo. Ed ecco che il più marcato
desiderio d’affrancarsi rispetto alle bizze del destino, che questa volta indica
una scaturente, dichiarata “Voglia di libertà”, quale plusvalore, viene
automaticamente risucchiato dal demone “Tempo”.
Analogamente, lo “specchio”,
soprattutto come “specchio deformante”, crea la migliore metafora. Laddove, in
contesti più finemente cerebrali, il ruolo allegorico è svolto, ad hoc, con
varie manifestazioni interiori, dal “cervello” e/o dalla “mente”. È chiaro
che la metafora venga a coincidere ad un elemento concreto, reale della
terrenità. Il simbolo poetico diviene icastico indice di una lampante coscienza
del male e delle contrarietà che affliggono in prima persona il Poeta, che
nello specifico è esemplare cantore di morte.
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Recensione |
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