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Luci, tenebre,
fragori, silenzi dilatano in cosmiche e siderali lontananze una vicenda i
individuale e storica di cui il soggetto, sgomento, avverte il non-senso e
l’enigma. Il reale, ora
putrescente e disgregato, ora etereo ed evanescente, suscita il fascino del
caos, la vertigine di un magma in cui la dimensione del tempo è appiattita in un
ineluttabile fluire. Scroscio
d’acque, stridore di metalli, suoni ancestrali: la materia è scrutata nei
precordi, è penetrata nelle dinamiche sacrali ed arcane dei suoi atomi, nel
fascino sbalorditivo dei suoi eventi reconditi.
Percependosi
sull’orlo del baratro, nella speranza eppure anche nel dubbio di un fine
trascendente l’esistere (“poi nel nulla | del mistero | a raggiungere |
l’Abissale Presenza”), l’io assume una centralità nella storia che gli consente
di denunciarne le mistificazioni e gli orrori (“… Tra smerli di pietra | e il
“pianto del ghetto” | vacilla il cristallo | non senso acume sbiadito | e
rotola su pietre imbrattate | le larve nel risucchio del rombo |…”), di
identificarne il valore più autentico nel potenziamento delle facoltà
prettamente umane.
Ma le valenze
della vita implicano quelle negative, come la luce è sottesa alla tenebra e la
tenebra alla luce. E la stessa ipotesi di una dimensione ultraterrena non è
consolatoria e rassicurante se ad attenderci è “…un dio fisso | e metallico…”
Eppure un
anelito religioso è presente nell’alterno, sofferto percorso di disperazione e
speranza, e trapela con crescente evidenza dagli ultimi testi. È quasi un
protendersi, fatto di preghiere e di attese, in una dimensione dell’oltre,
soffusa del biancore di tenui luci, di eteree vesti e d’ali d’angelo. L’evoluzione,
forse, di una vicenda esistenziale percepibile nell’ambito di quella poetica.
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Recensione |
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