| |
Succede che a volte il teatro si insinua nella vita con straniante
“naturalezza”. Vola via ogni residuo di palcoscenici, fondali, e tutto
quanto contribuisce a creare la finzione. Vola via persino lo stesso teatro come
edificio, spazio fisico contenente gli spettatori e gli attori. Questi ultimi
allora – simili ai cavalieri e alle dame sorpresi dal dissolvimento del
Castello Incantato dove erano prigionieri – si guardano intorno stupiti e poi
si incamminano per strada, mescolandosi alla gente comune.
Ma non basta. Perché il teatro (o l’arte, o la poesia…) si insinui
davvero nella vita, bisogna che gli attori – girovaghi del nulla – penetrino
nel luogo più privato, più intimo di ogni essere umano: la casa.
Ed è questo il Teatro di appartamento che (con delicato omaggio al
ceronettiano Teatro dei sensibili, al mondo delle marionette e al Teatro
di Strada) Liliana Ugolini “mette in scena” nelle camere della sua
abitazione, invitando amici o semplici spettatori a partecipare allo spettacolo.
Vi capiterà allora di essere quasi presi per mano e coinvolti in una recita
itinerante dagli attori (che nel nostro caso sono i bravissimi Rosanna Gentili e
Gianni Marrani) e da questi invitati a vagare, con varie soste, fra gli ambienti
della casa (financo, che so, la cucina, il salotto, il bagno, il
ripostiglio…), ambienti che – come per incanto – si trasformano in
“altro” e diventano luoghi della meraviglia, del sogno e della poesia:
schiodandosi dagli spazi deputati, contaminando il rapporto finzione-realtà e
planando sugli oggetti più comuni col suo soffio sconvolgente, l’arte riesce
davvero a farsi vita.
Ma c’è a questo punto un importante arcano da disvelare: l’autrice dei
testi è la stessa padrona di casa, Liliana Ugolini, che scopriamo essere una
sensibile scrittrice fiorentina con alle spalle una lunga, profonda e complessa
frequentazione della parola poetica. Marionetteemiti (questo è il titolo
sia dello spettacolo teatrale che del volume dal quale lo spettacolo è tratto)
partecipa dunque di due nature, come certi animali fantastici degli antichi
bestiari: è insieme teatro e poesia. Da un lato prende forma in consonanza con
la plurale germinazione di una teatralità fatta di mimica, movimento, effetti
di luce e di suoni, ma dall’altro mantiene e rivendica un suo deciso statuto
di autonomia, essendo l’opera caratterizzata da una densa, intrigante e
personalissima ricerca sulla parola in quanto tale.
Solo la scrittura poetica, quella autentica e pura, può infatti mettere in
circolo fremiti, aperture lunari e derive di senso come quelle che inselvano le
pagine di Liliana Ugolini. Le parole – patinate a volte di enigmatici echi
sapienziali – trascorrono melodiche, malinconiche, ironiche e dissonanti tra
plessi di rimandi semantici e sonori; si contorcono in una matassa sorprendente,
surreale e spumeggiante di rime interne, paronomasie, allitterazioni e di mille
altre diavolerie retoriche, creando un effetto autogenerativo (come se ogni nome
si dibattesse nel ventre del precedente e subito dopo desse vita ad altro, in un
gioco infinito di specchi). Attraverso questi procedimenti – che segnano la
scrittura poetica della nostra autrice anche nelle precedenti pubblicazioni –
la parola si fa corpo. Gorgoglia uno scrivere felicemente inventivo e inventato
dove la ricerca si concentra in prevalenza su un raffinatissimo lavoro di
costruzione interno alla lingua poetica, così interno ed essenziale che
alcuni segmenti del testo possono a volte sganciarsi dai vincoli significanti e
svolare lievi verso una beata e innocente autoreferenzialità, senza che il
tessuto testuale ne perda in spessore.
La narrazione si inerpica attraverso varie “stazioni”, caratterizzandosi
come un’ originale “poesia scenica” (Lanuzza), luogo di transito e di
infiniti mutamenti, terreno liminare dal quale prende forma un corteo di
marionette in-visibili, una folla di personaggi eterogenei a loro volta
sguscianti da una mitologia irrequieta e vagabonda (che si proietta verso il
mondo greco più arcaico, ma poi in progressione ritorna in avanti nel tempo,
attraversa i personaggi della commedia dell’arte e il mondo delle fiabe, fino
a spingersi alle soglie del post- moderno sfiorando il mito effimero delle top
model). E così, attraverso tanto brulicare di forme, di sensi, di caratteri
e di azioni, questo “teatro portatile” può persino assumere evanescente
sembianza – come scrive Stefano Lanuzza nella prefazione – di un “vero e
proprio poemetto sulla condizione umana”.
| |
 |
Recensione |
|