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La ‘poetica’ del paesaggio pugliese
L’umanesimo pittorico
di Nicola Andreace
Se partiamo dal principio che
“L’intenzione dell’artista non mira ad imitare ciò che trova davanti a sé, bensì
a produrre degli oggetti, cioè dei quadri, causa di esperienze irraggiungibili
in una realtà concepita in modo razionale” (Friedrich Heckmanns), la strada da
attraversare diventa più scorrevole, con qualche intoppo in meno. Tutto questo
si armonizza perfettamente al percorso artistico di Nicola Andreace, il quale
non ha mai deviato di un rigo nel bisogno di capire i mutamenti della cultura da
cui discende e di cui si sente parte attiva. La civiltà contadina e le sue
variegate implicazioni, non unicamente di natura socio-economica, ma anche in
termini di identità-paesaggio, trovano in Andreace un combattivo sostenitore di
quelle radici antiche, che un vuoto “tecnologismo” ambirebbe a cancellare
definitivamente. La sua ispirazione attinge sì ad archetipi inconfessabili, ma
non rimane piegata al suo interno, piuttosto si modella nella scoperta e
valorizzazione di un rapporto in continua ascesi. La rappresentazione del dato
oggettivo è strettamente collegato ad una realtà storica, da cui è motivata, per
poi svilupparsi in ambito tutto personale, come quando cattura i simboli che
sono alle fondamenta dello stesso divenire umano.
Il “paesaggio” di Andreace non
è soltanto l’unità conosciuta, rappresentata ora dagli elementi architettonici
di una chiesa della sua Massafra, o dalle “gravine” che sprofondano in un
habitat ricco di suggestioni ancestrali, oppure quella terra rossiccia che parla
di mediterraneità nella quale affondavano le vanghe dei contadini del Sud,
ancora le pale di ficodindia che parlavano svettanti in un cielo allora terso.
Tutto questo è rinvenibile nella ricerca pittorica di Andreace, ma è leggibile
in filigrana, portata cioè in primo piano dallo spessore delle sue convinzioni
etiche e culturali, dalle quali è difficile prescindere se si vuole cogliere
fino in fondo la problematicità della sua condizione di artista del Sud. Di un
Sud che non si riduce soltanto ad “urlare”, ma si sottopone al bilancio della
realtà, al di là del filisteismo accreditato, e la lettura di tele come “Civiltà
rupestre” o “Area mediterranea” brulica di quell’amore per la pittura mai
rinnegata, anzi fortificata dalle esperienze e dallo studio delle avanguardie
soprattutto nel campo del design, nel quale Andreace è sicuramente un esponente
di elevato spessore.
L’amore per il colore e la
ricerca grafica si assommano in quello spazio sciolto di luce che scandisce il
suo universo, quell’universo che soltanto un vero artista sa esprimere.
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