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Un poeta ‘d’amorosi sensi’
La riscoperta lirica
di Giovanni Giudici
Esaurito il filone del Petrarchismo, la lirica amorosa risulta assente nel
linguaggio letterario degli ultimi secoli. Si avverte ancora una traccia nei
contenuti ideali dell’amore romantico, ma poi la produzione letteraria, nei suoi
complessi intrecci, rimaneggia e trasforma quella pura e densa tematica alla
luce di nuove finalità, più urgenti nell’intellettuale contemporaneo. Nel
romanzo realistico l’amore è costretto a convivere con altre forze
concorrenti, in un equilibrio commisurato alla formazione del protagonista nella
realtà della storia. Nella tensione esistenziale della produzione dell’ultimo
secolo, l’amore è richiamo di nostalgia o di turbamento in una vicenda di
problematico disagio, che aleggia e assorbe tutta l’espressione.
L’amore, come elemento imperioso totalizzante dell’emozione poetica,
ritorna nella poesia di Giovanni Giudici, approdo per lui significativo e
risolutivo, dopo la lunga narrazione (La vita in versi), di sapore
autobiografico, dell’intellettuale funzionario che si ripiega a considerare la
sua nuova attuale condizione. Qualche critico, all’apparire di Salutz, titolo
delle settanta liriche della raccolta d’impianto sonettistico, immediatamente
rilevava la novità della ricomparsa del Minne medievale dopo secoli di assenza.
Il richiamo si evidenzia fin dal motto iniziale, i versi del Raimbaut de
Vaqueiras, spunto e orientamento insieme nell’esperienza della lettura.
Nella silloge si sono travasati, compenetrandosi, i due filoni che in
successione hanno segnato la linea evolutiva dell’Amore; si tratta del
sentimento lontano e sublime dei poeti delle corti, assunto a valore assoluto
nello Stilnovismo; si tratta della piena disposizione al servizio dell’amante
verso la Signora-Midons, ma anche dell’atteggiamento orante e contemplativo
verso un essere superiore alla realtà contingente. Nella sua lontananza, sempre
esigente nel richiedere e punire, la donna, emblema di Bene e Amore, può
apparire perfino cruda ed implacabile all’amante tenuto al continuo sacrificio,
che si snoda nei versi come passione purificatrice. Nella poesia di questo Poeta
l’amore torna ad essere forza unica e suprema, forza totalizzante, che non
accetta compresenze, ma concentra in sé tutti gli obiettivi della vita,
dividendo la sua sovranità solo con la morte in una sintesi complementare di
assoluti. La Presenza nel mondo e la natura corporea, con cui la figura
femminile sollecita tutto il percorso terrestre del poeta, sono trascesi
dall’Essere sempre in eccesso rispetto alle sfaccettate rilevazioni; la sua
figura di vergine, madre, maga, fattucchiera, Signora, Vergine, Magna Mater
cosmica, può indicare la profondità e l’ampiezza della preparazione lirica di
Giudici. Possiamo intuire la capillare raffinatezza delle colte citazioni,
sempre al di là della nostra parziale individuazione; a volte sono termini o
versetti celanti il lungo lavorio del travaso, innestati e ricodificati nel
nuovo testo con inedita potenzialità metaforica.
La poesia di Salutz è preannunciata, nel percorso letterario-esistenziale del
Poeta, dalla precedente "O Beatrice", momento di svincolo liberatorio dai
condizionamenti dell’epoca tecnologica sull’intellettuale proletarizzato,
chiuso in un’avvilente clima di quotidianità, come avvertiva intensamente
Giudici nella lunga precedente narrazione poetica. La presenza di liriche
intitolate al Sublime, alla Madre, alla Beatrice, al Programma di vita,
chiarisce l’atteggiamento del Poeta, che si dibatte nella ricerca di un mondo
autre, regressione o utopia, luogo dell’impossibile ed improbabile, oltre le
strettoie della semplificata saggezza comune.
L’alternativa utopica attraversa, comunque, tutte le raccolte di Giudici,
connotandole di aneliti profetici, all’interno di un mondo letterario
contemporaneo che spesso restringe il suo sguardo al presente, come viaggio,
magari ironico, nel paesaggio della pubblicità e della tecnica. Certo alla gioia
del sublime poetico, nella figura femminile cosmica, che richiede alla parola
tutto il sostegno emotivo e metaforico, Egli giunge dopo il crollo delle sue
fedi precedenti, sostenute da un abile sofferto lavorio di amalgama, con cui si
era affacciato alla storia del secondo Novecento. La sua vicenda di vita è
documento dell’alienazione dell’uomo colto nella nostra società di miracolo
economico, incerto del suo ruolo, consapevole però di essere disceso in una
posizione subalterna, all’interno della grande massa sociale eterodiretta e
asservita; egli non è capace di acclimatarsi né con la moltitudine stracciona,
né con la cerchia dei colletti bianchi, risultando personaggio chapliniano e
nevrotico.
Questa sua vita declassata e senza illusione Giudici ha voluto mettere in
versi, riconoscendo perfino i momenti di arrendevolezza sociale, divenendo
compiacente e perciò colpevole. Dalla cronistoria critica della sua vita
impiegatizia Egli si risolleva con lo slancio profetico e il culto del puro
poetico: le parole si allineano come giostrine vaganti, libere dalle scorie
della funzionalità e cariche solo di tensione emotiva, inneggiando
clamorosamente a quel fantasma femminile che è la poesia.
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