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Paolo Ruffilli, prefatore ed
editore di questo libro della Piano, che ha già pubblicato, per la stessa Casa,
Canti affranti ed ha partecipato a numerose antologie con buona fortuna,
sottolinea in queste garbate pagine, soprattutto quegli “accenti di sottile e
penetrante partecipazione” ed intravede, “in uno spazio umile e semplice”, i
lineamenti di un amore cristiano “sentito e vissuto come energia attiva di ogni
gesto e parola umani e, dunque, anche della stessa poesia”. La particolarità
della divisione di queste, in tutto, trentacinque poesie, appare subito nelle
sei parti che ne compongono la strutturazione qui localizzata, secondo il
disegno dell’autrice. Che assimila in sei interventi distinti da titoli che si
richiamano alla semplice numerazione pitagorica, tutto il contenuto del libro; e
i primi quattro, presi a se stanti, definiti in queste Cinque parole, Uno, Due,
Tre, Quattro, reggono il contenuto di sette componimenti abbastanza brevi, nei
quali si condensa la concettualità della visione dell’autrice e la proposta
poetica del suo canto. Il che lascia al numero Cinque appena tre liriche ed una
coda di quattro suddivisioni (I, II, III, IV) accorpate, tutte, nei “Canti di
montagna”.
Sicuramente l’autrice ha
inteso comunicarci dei messaggi particolari, in tutta questa elaborazione di
dati, sottomissione ad una precisa volontà di dare credito ad un percorso
impegnato in un suo pensiero di sottofondo che rimane tuttavia nascosto e
segretato attraverso le sue stesse parole. E queste appaiono al lettore come le
più chiare e semplici possibili, incatenate ad un percorso che vorrebbe essere
quasi misterioso, apparire come fissazione, in una scenografia drammatica, di
fatti, impressioni, memorie, quasi appunti meditati a chiudere senza ferimento,
una storia il cui coinvolgimento, nell’autrice, rimane bene accerchiato e
determinato in alcune forme di ossimori, vaghe metafore, simbolismi
accennati appena e trattenuti nel mistero dell’anima.
Leggiamo “Sfiora una nuvola
bianca | nel sole un gabbiano || sei Tu che del cielo | saluti con la mano.” (p.
15); “Risveglio | il silenzio | che dorme | nel ventre | del vento | e schiudo |
la voce | che irrompe | nel canto. | Respiro | parole | di carta | che s’aprono
| piano, | cammino, | raccolgo, | m’inchino.” (p. 21).
E, ancora , sorvolando quel
certo esoterismo a cui pur sembra aspirare Susanna Piano, proprio nell’affidarsi
in questi versi, a numerazioni, gradazioni, superficiali quanto vaghe
concettualizzazioni, soffermiamoci pure, sul quid che concerne, chiaramente, la
sostanza del titolo del libro in questione e che si rileva, senza dubbio, in una
lirica intitolata “Luce”, ove è detto: “Luce dei miei anni bui | che nella seta
mi sorreggi la croce || sto protetta con Te | come formica in un guscio di
noce.” (p. 41). E notiamo come, attraverso questo breve quanto drammatico, in se
stesso, lavoro, l’autrice sembra darci un segnale forte che riguarda la sua
concezione della vita, per cui l’essere umano non è che un piccolissimo, ma
strenuo animale nella sua lotta per la sopravvivenza nella natura, e tutto il
suo mondo protettivo ed esclusivo venga a racchiudersi nella viva e sicura
concentrazione di un “guscio”, anima, casa, tetto, custodia, elemento catartico,
senza porte e senza finestre, finché le è dato.
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Recensione |
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