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Donato Di Stasi, in
postfazione, si dichiara felicemente sorpreso per avere scoperto, nei
componimenti di Andrea De Filippi, il tocco sacro della poesia, anche se non può
fare a meno di notare che, in questi versi “pur ingenui e sentimentali, pur
quasi a digiuno di prosodia”, ha individuato “alcuni lampi poetici degni di un
qualche memento” per cui “in questi tempi macilenti e sordi, non è poco. E il
lettore non ne rimarrà deluso”.
Andrea Filippi, infatti, non
ci delude. “Guardia forestale – continua il Di Stasi – consegna alla scrittura
il suo immaginario intessuto di visioni naturali e riflessi mitici; compone i
suoi idilli forzando a volte sul versante lirico, oppure preferendo la tensione
gnomica, la riflessione morale nell’urgenza di comprendere il reale” e con seria
convinzione, egli lo apparenta al Kerouac, avvistatore di incendi, autore del
celebre Desolation Angel.
Poco meno di cinquanta poesie,
testimoniano dell’assunzione di responsabilità del critico conduttore, in questo
libro, frutto evidentemente di una scelta raffinata e assai scrupolosa. Se ne
evidenziano alcune tra le più felicemente espressive, per le quali, senza dubbio
c’è da far fede sulla vocazione di questo autore che, se per ora è fuori delle
grandi autostrade della poesia e della letteratura, può aspirare, proseguendo il
suo percorso, ad un ascolto interessato e favorevole della sua opera, nel campo
piuttosto difficile della scrittura e della letteratura, come è noto. “Come un
aquilone” (p. 21) ci propone, in maniera abbastanza originale, la vicenda di un
rapporto sentimentale che si colloca ad un certo livello di forte spinta emotiva
che l’autore trattiene affacciandosi sulla razionalità del suo istinto di
conservazione ed il suo amore per la libertà individuale. “Il trucco non
nascondeva i tuoi occhi gonfi, | anzi, colorò le tue lacrime di nero | che
quando caddero poi | ti rigarono il volto | ed io guardandoti | capii quanto
avevi pianto. | In quegli occhi azzurri come il cielo | io ero andato come una
rondine… | Non avrei voluto farti piangere | ma, ormai, in quelle righe nere
| che ti partivano dagli occhi | io ci vedevo solo | le sbarre di una gabbia”.
Ed appare evidente, in questa
pagina, il tono prosastico, ma privo di affettazione, l’approccio ad una realtà
interiore che non si camuffa tra immagini devianti, ma tocca un realismo di
scelta poetica che rende bene, senza sbavature, il clima e la distanza di tutela
che l’autore stesso reclama, nonostante tutto, l’attaccamento e l’amore, a
difesa della sua libera privacy.
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Recensione |
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