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La Premessa di Giannina De
Visdomini, sinteticamente, apre ad un discorso di sopravvivenza, laddove l’arte
supera le categorie dello spazio e del tempo e annichila la morte, in merito a
questa raccolta di poesie di Maria Adelaide Ferralis, della quale un suggestivo
nobilissimo ritratto firmato da Annalisa Manca, in quarta pagina, ci presenta
l’autrice colta in pensosità delicatissima e attraente.
E non vana è la nota
biografica che ne traccia i lineamenti centrali della sua vita, nata a
Pozzomaggiore (Sassari), docente di Materie letterarie negli Istituti superiori,
quindi a Lecco fino al pensionamento. Si è spenta a Bosa (Nuoro), nel gennaio
del 2004, affidando il manoscritto, unitamente ai suoi figli e alla nipotina
Marta, all’affetto della stessa De Visdomini.
La raccolta, inoltre, si giova
di alcune riflessioni di Salvatore Miscali, di una presentazione di Annalisa
Manca, e di una postfazione di Giovanni Spagnolo. Il tutto, composto in
sessantadue pagine meritorie tra le quali emergono naturalmente, da p. 5 a p.
46, le liriche recuperate, in questo libro, con l’estremo scrupolo dovuto ad
un’autrice, questa volta, che non è più. E si tratta della vicenda esemplare di
una esistenza prematuramente conclusa, esposta negli stati maggiori della
poesia, accompagnata, in viatico, dalle premurose, peraltro illuminate e limpide
note di personalità della cultura e dell’arte che la conobbero e l’amarono.
In effetti, incontriamo, in
queste poesie, la voce vibrante e commossa di una scrittrice colta e sensibile,
che sa di essere votata alla morte precoce e riconosce nel mondo circostante,
nella natura, negli affetti, il gran dono che le viene tolto, in un danno
terribile, che la stacca dal resto degli uomini tutti e dei viventi, soprattutto
dai figli, dai parenti, dall’aria che respira, dalla bellezza che i suoi occhi
hanno saputo osservare, conoscere, apprezzare.
Fin dai primi versi, qui, ne
“La madre” , rivela la coscienza della grande illusione di tutti viventi, quella
che la vita sia un dono di bellezza e d’avvicinamento alla perfezione di Dio:
“Madre non sai il male che mi hai fatto | sono una pianta inaridita e secca |
gemo al primo scontro con la vita | tu mi hai ingannato madre. | Consolami se
puoi ora ti prego | asciuga le mie lacrime dolenti | fammi di nuovo male se lo
vuoi | ancora illudimi che la vita è bella | innaffia il mio tormento | col tuo
amore.” Infine, quelli dedicati alla “Morte”: “Il tempo ha ingoiato persino la
croce divina. | È mancata e manchiamo. | Abbiamo bisogno di Dio. | È triste
morire nel nulla | assorbiti da un’umida terra | coperti di gelidi marmi | in un
campo di fiori pietosi | ricordi di un giorno finito”.
L’itinerario poetico della
Ferralis si svolge lentamente, attraverso riflessioni, immagini sensibili e
tormentose, squarci della bellezza che via via s’allontana, mentre ella stessa
cerca di recuperare velocemente, sensazioni, pensieri, immagini da lasciare come
traccia, dietro di sé, di un vissuto eccezionale, luminoso, bello e malinconico.
Parole per chi resta, dunque, per tutti coloro che ricorderanno il tempo
trascorso insieme, trasfigurato nella bellezza del verso e delle immagini, nel
canto che nasce dalla perdita irreparabile, come offerta votiva sull’altare del
mondo, perché sia presente ogni volta l’amore vissuto, la gioia ricevuta e
donata, tutto ciò che ella seppe comprendere e comunicare del vivere e del
morire.
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Recensione |
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