| |
Autore di libri di successo, anche in lingua slovena, Giovanni Tavcar, oltre
che narratore e saggista, scrittore di biografie di Schubert, Beethoven, San
Francesco, premiato con diversi riconoscimenti letterari, questa volta
s’impegna in una nuova raccolta di poesia che, nel titolo “Quel poco che
ancora avanza” indica un progetto memoriale e di presenza attiva nel nostro e
suo tempo. Egli, infatti, riferisce una traccia segnaletica quando precisa al
lettore (oltre che a se stesso) proprio in esergo: “Metafisica dell’anima
dall’archivio della memoria”. E, successivamente osserva: “Al poeta | non
chiedere certezze, | miracoli, | forme risolutive; può darti soltanto |
barbagli di luce, | scampoli di illusioni, | scintille di intriganti |
passioni”. La materia, suddivisa in sei parti, si ritrova nei titoli: Il sordo
rimestio dei giorni, Da che parte andare?, La musica del mare, Quasi una grazia,
Nuovo albore, La sfida al cielo. Ed ingloba un periodo ricco di quella vitalità
che non scade nella malinconia, ma si carica di forti impressioni, sentimenti,
visioni anche tralasciate, a volte, nel ritmo minuto dei giorni e nella trama
dell’esistenza che, tuttavia, assurgono a tematiche che, spesso, riescono a
superare l’intimismo nostalgico dell’autore ed appaiono illimpidite in
atmosfere coerenti al sogno ed alla suggestione del reale, che trovano nella
parola la forza autentica di un discorso che si attesta lentamente negli anni e
non arretra né declina, rinnovando ogni volta la vena autentica dell’autore.
La riflessione non viene esclusa dal rimescolio delle carte sentimentali, anzi
ne esce rafforzata ed attinge, a volte, quel difficile livello del cosiddetto
“pensiero poetante” il quale dovrebbe essere, dopo la rivelazione e
l’opera di Giacomo Leopardi, il culmine di tutta la lirica del nostro tempo,
impegnato nella ricerca e nell’analisi che sconfina senza problemi,
nell’intuizione scientifica e nella cognizione totalizzante dell’umanesimo.
Esemplifichiamo semplicemente con alcuni accenni, a questo punto, ove l’autore
afferma che “Non c’è più memoria | nelle menti, | non c’è più
passato” (La memoria del passato, p. 19); e, quindi, appare legittima la
domanda: “Ma il cielo | ha veramente bisogno | del nostro dolore | delle
nostre ore perdute, | dei nostri lacerati | silenzi?” (Infinita Tensione, p.
27). Ancora, come in questi versi: “Stanco di morire, | giorno dopo giorno, |
di essere | in continua balìa | degli eventi | di invecchiare | senza la
consolazione | dei sogni, | di cadere | e di ricadere, | di essere un’inutile
| e marcita zavorra, | di ritrovarmi | dimenticato e tradito, | mi lascio
sedurre | e risucchiare | dall’enigma | dell’estremo silenzio”. (Stanco,
p. 36). Tanto scavo metafisico, nel quadro del vivere quotidiano, ecco che
approda al paesaggio marino, alle bianche scogliere, ai venti, anche se “...Di
tutto rimane | solo un’aura di memoria | una dissolvenza | di aerei sogni
sospesi, | una tenue traccia | di desideri baluginanti...” (Mari caldi e
azzurri, p. 57). Si tratta di un mondo vivace, di una fiducia estrema nella
vita, se guardiamo al complesso di quest’opera lasciandoci convincere, e non
è difficile, dalla trama affascinante che l’autore, tranquillamente, ci
propone.
| |
 |
Recensione |
|