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Decisamente bella questa edizione: nulla che ti freni nulla che ti scivoli via, nulla che si afflosci né che ti resista, nulla di troppo scuro o di troppo chiaro, pare costruita per accondiscendere al lettore; forse un po’ piccolo il carattere ma può essere un difetto dell’utente. Un piatto di portata che ingolosisce certo la pietanza che offre.

L’Autore sembra stupirsi delle immagini che osserva, e vorrebbe stupire con sé il lettore; in realtà io credo che lo stupore sia per la semplicità e l’esiguità delle parole con le quali tali immagini vengono rese, che ciò nonostante hanno una discreta capacità di induzione sul lettore, il quale è portato ad uscire dalla semplicità dell’immediatezza visiva per entrare in quella della profondità intuitiva.

“ciò che dura | oltre gli occhi e gli anni | è filo teso a un punto”

Eppure ha ragione Carlo Rao nella prefazione: ...compostezza...minimali mappe...pudico ed elegante; ma alla bisogna anche consapevolezza:

“nulla è più vero | del gesto | che ha maestà e stupore | e nel fondo | resta radice” alla bisogna anche fermezza: “nessun patto noi la lebbra | che scarnifica | nessun dono all’imbroglio | alle oniriche lingue”.

Verso la fine, dove la misura si allunga leggermente, il piacere dell’immagine eclatante, immediata, cede all’individuazione del concetto; allora la considerazione prende il posto del paesaggio e sembra mancare il soggetto mentre l’immagine continua a sussistere. L’affresco si pone obiettivi più presuntuosi dello schizzo, ma anche più difficili.

Recensione
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