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Dal piccolo al grande!? Gli scritti e la poetica
Chiunque abbia letto o
ascoltato leggere una poesia dedicata a sé, anche solo un pensiero, sa quanto
sia gratificante sentire che qualcun altro prende in considerazione la vastità
di sensazioni e sentimenti per parlare di lui, e certo non può che ricambiare
con affetto e gratitudine chi l’ha fatto.
Tuttavia è possibile almeno un
punto di vista alternativo, meno immediato ma più critico. Immaginiamo che quel
qualcuno, invece di prendere in considerazione sensazioni interpersonali e
sentimenti universali per parlare di noi, prenda in considerazione noi per
parlare di sensazioni interpersonali e sentimenti universali, non sarebbe molto
più gratificante e più poetico? Notiamo la differenza fra “guardo la luna e
penso a te” e “guardo te e penso alla luna”; nel primo caso si intuisce il senso
romantico mentre nel secondo potrebbe nascere il dubbio della burla (sei come
una palla). In realtà la prima forma può apparire romantica solo perché si dà
per scontata la complicità di colui al quale è dedicato il pensiero ma la forma
è la stessa dello sproloquio e, se sottintendiamo la burla, diventa una presa in
giro feroce (ma chi ti credi di essere). Chi non si sentirebbe in imbarazzo se
dovesse scrivere di come, immaginando la bellezza divina, abbia pensato al
ciclamino del suo balcone? Partire invece da una evidenza terrena per giungere
agli spazi infiniti dell’anima e della mente è cosa diversa: “guardo te, amore
mio così candido e lontano, e penso alla luna”. Ma realizzare con successo
questa forma è molto più difficile, provate voi a prendere in considerazione il
cespuglio di rose del vostro giardino per parlare della bellezza divina,
dell’eternità, dello smarrimento umano, il salto sarebbe troppo grande per
poterlo affrontare anche con l’asta di un olimpionico, servirebbe un’asta più
lunga e più flessibile, tanto alta ed elastica che potremmo avere difficoltà a
rimanervi aggrappati. A quel punto ci sarà più facile comprendere la grandezza
di Giacomo Leopardi, che riesce a parlare dell’infinito davanti ad una siepe di
sempreverde, la quale giustamente merita, pur se vegetale, un posto accanto a
Silvia, alla Nerina ed alla Donzelletta.
Se avremo il coraggio di
imbracciare quell’asta senza presunzione ma anche senza paura di fallire, allora
potremo inviare senza temere i nostri testi ad un “critico”, perché un Critico,
più è ferrato e più conosce il fallimento, più conosce il fallimento e più è
indulgente con gli altri, più è indulgente con gli altri e meno lo è con sé
stesso, e davanti ai vostri testi, per modesti che siano, egli si porrà sempre
all’ombra del rigore più discreto e della più innocente sincerità. Noi stessi
dovremo essere tanto modesti da sapere che nessun critico potrà conferirci
alcunché, poiché per conferire bisogna essere stati conferiti da qualcuno al di
sopra di noi che a sua volta deve essere stato conferito da qualcun altro al di
sopra e via mordendosi la coda l’un l’altro. Ponendo pure che qualcuno si trovi
ad investirci “di questa gloria, sì povera di utilità, sì difficile e incerta
non meno a ritenere che a conseguire, simile all’ombra, che quando tu l’abbia
tra le mani, non puoi né sentirla, né fermarla che non si fugga.” Ciò nonostante
“il nostro fato, dove che egli ci tragga, è da seguire con animo forte e
grande;”.
Pensate se qualcuno sapesse
naufragare in noi come in un mare di dolcezza nel modo in cui vi ho detto, non
sarebbe immensamente più gratificante; pensate se noi stessi sapessimo in tal
modo naufragare nel gelsomino del nostro balcone, non sarebbe immensamente più
poetico. Potrebbe valer la pena d’essere vissuti e forse insieme anche quella di
morire, per poterci assicurare la stessa eternità di quella siepe,
quell’eternità che invece non ci daranno i nostri pensieri anche i più
appassionati. Più che da Giacomo Leopardi, noi sembriamo essere cantati da
Sandro Penna:
Amore, gioventù, liete
parole,
cosa splende su voi e vi
dissecca?
Resta un odore come merda
secca
lungo le
siepi cariche di sole.
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