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Mail Art. 2
Il momento espositivo di un progetto a tema
Nel continuo verificarsi di rapporti personali spontanei fra mailartisti
attraverso la fitta rete di contatti della Mail Art, il momento espositivo di un
progetto a tema fissato in una data stabilita diventa inevitabilmente per molti
di loro un’occasione per rinsaldare rapporti già esistenti, più ancora che per
allacciarne di nuovi, ma l’aspetto più importante riguarda paradossalmente gli
assenti, poiché non riguarda soltanto i rapporti intrattenuti di persona ma
molto di più quelli epistolari, a volte stabiliti da anni, e quelli stabiliti
attraverso il messaggio emozionale suscitato dalla periodica visione dei lavori
di alcuni mailartisti che sono parsi di particolare interesse, emozione che non
di rado spinge alla ricerca di un contatto diretto. Anche per questo, dopo ogni
esposizione, insieme alla documentazione, viene diffuso fra i partecipanti
l’elenco di tutti i loro nomi coi relativi indirizzi e nel caso in cui venga
prodotto un catalogo illustrato (come nel caso di “Anges dévastés” di cui si è
parlato in PdV nr. 32) ognuno potrà vedere i lavori degli altri. Ma il fatto più
singolare avviene nel caso in cui un partecipante presente all’esposizione parli
ad altri di un mailartista assente che egli conosce bene; avviene così che la
distanza che separa costoro da chi è assente venga drasticamente ridotta e la
differenza fra conoscenza diretta, rapporto epistolare o attraverso le opere, si
attenui dando la sensazione di conoscere tutti allo stesso modo.
Questa particolarità risulta chiaramente a livello concettuale da un lavoro in
video di Luca Miti di Roma. Ripreso da una telecamera fissa, l’autore stesso
parla di alcuni mailartisti assenti, residenti in paesi lontani, ad un gruppo di
amici che sta predisponendosi ad un momento conviviale, lo fa attraverso la
lettura di alcuni loro testi e lettere che ha ricevuto, e attraverso le
conoscenze pregresse che ha di loro evoca in un certo senso la loro presenza nel
contesto conviviale. Successivamente i presenti si siedono a tavola e danno
inizio alla cena continuando a parlare fra loro senza porre la minima attenzione
alla telecamera che continua a riprendere. In questo modo decontestualizzano la
loro presenza nei confronti del “qui ed ora” costituito dalla telecamera e
rendendo la sottrazione della loro presenza nel contesto equivalente
all’evocazione degli assenti alla presenza del contesto stesso.
È anche per la capacità di suscitare questa complessità di rapporti che spesso
un progetto di Mail Art diventa il centro di una manifestazione nella quale si
articolano diverse iniziative. Per entrare nel concreto parlerò di alcuni casi
recenti.
Creativa
È nata come incontro per l’autoproduzione, quindi rivolta a quei fenomeni
sotterranei (underground) fitti di sottili radici che si intrecciano fra di loro
ma che restano fuori dai grandi sistemi comunicativi (star system). Dice Franco
Piri Focardi, che con Claudio Fusai, entrambi di Rignano sull’Arno, è ideatore e
principale organizzatore della manifestazione: “Molti di noi hanno alle spalle
esperienze di Mail Art dove il fondamento è la gratuità dell’opera, una specie
di dono, e la comunicazione, che si attua utilizzando indifferentemente tutte le
tecniche artistiche, ... Quindi, bisogna avere sempre ben presente che ogni uomo
ha pieno diritto di esprimersi, che ogni uomo ha una storia, e che tutto quello
che facciamo per dargli o togliergli voce rappresenta un atto
politico/culturale.”
Con tali presupposti il tema del progetto di Mail Art non poteva che vertere a
temi di specifico aspetto sociale e infatti, nella passata edizione, sull’onda
delle polemiche sull’uso dell’uranio impoverito, il titolo del progetto è stato
“Povero Uranio”, con una vena ironica tutta toscana, e quest’anno, sull’onda di
Porto Alegre e di Genova, è stato “Popoli senza nome”. Gran parte delle adesioni
ha riguardato il terzo mondo, lo sfruttamento delle minoranze e le culture in
via di estinzione ma c’è stato chi, come F. P. (Francia), in tempi di sans
papier e di impronte digitali, ha puntato il dito sulla eccessiva riduzione
dell’essere umano a scheda di segnalazione, a numero.
Amodanea
“Un arcobaleno di aquiloni” è invece il titolo del progetto lanciato da
Amodanea, dovuta interamente all’abnegazione di Dino Sileoni di Tolentino e di
Agostino Cartuccia di Macerata, la spazialità e la coloritura gli derivano da
presupposti diversi. Spiegano gli organizzatori: “Non esiste una cultura di
parte ma solo Cultura espressione e patrimonio delle genti nelle loro diversità;
essa evolve e cambia col mutare degli usi e nel cambiamento si mescola si
rinnova e ogni volta mette nuove foglie ... Il metodo, nel fare, è la negazione
di ogni avventura; avventura intesa come entrata e sviluppo all’interno di
luoghi sconosciuti senza guida alcuna se non quella della sensibilità e della
volontà di riuscita ... Nell’amodalità ogni fare è soggetto all’unicità ed
all’irripetibilità ... In mancanza di prove di riscontro per diversità d’azione,
l’artista non deve dare prove ad arte ... il modo viene inventato ogni volta ed
ogni volta non se ne registrano i passaggi procedurali cosicché le azioni
successive non hanno memoria delle precedenti, memoria intesa come
catalogazione, schedatura ... ogni processo in atto conserva la purezza e la
freschezza di una vita vissuta nel tempo presente ... In questo senso
l’amodalità non si adatta ad un processo seriale né riproduttivo.”
Tutto questo concorda pienamente con i principi della Mail Art, secondo i quali
non deve esistere selezione né graduatoria né premiazione né mercificazione ma
soltanto e sempre comunicazione. Quindi la scelta dell’arcobaleno e
dell’aquilone segue l’esigenza di spazio e di diversità; dice ancora Sileoni, in
modo un po’ provocatorio: “non c’è necessità di riproporre continuamente il modo
se il fine è un risultato ogni volta diverso”, quindi non una produzione
artistica di tipo seriale ad uso del mercato, “nei sistemi complessi 1+1 non dà
come risultato scontato 2 ma risultati diversi secondo la diversità di un 1
dall’altro1.”
La strenua difesa della diversità referenziata solo dalla sottoscrizione
dell’artista, l’aperta negazione di ogni arbitraria registrazione della critica
per generi e stili, il fermo rifiuto di ogni criterio che porti una giuria a
stilare graduatorie ed a legittimare premiazioni, è quanto maggiormente
qualifica la Mail Art non delimitandone il territorio ma stabilendo le zone che
essa si preclude per salvaguardare le proprie caratteristiche distintive. Questo
naturalmente non significa l’assunzione di una piatta ed indifferenziata
concezione ugualitaristica anzi, oltre a favorire la rilevazione delle
differenze fra i vari artisti rende possibile l’individuazione di grandi
movimenti che vanno a stabilirsi spontaneamente e forse inconsciamente intorno
alle differenze culturali che derivano da fattori sociali linguistici geografici
ambientali ed altri (vedi PdV nr 30, p. 269). Dal lato pratico, la differenza
sostanziale è che, invece di perseguire la selezione per restringere l’interesse
ad un ristretto numero di opere che rappresenti un vasto lasso di tempo,
utopicamente una soltanto, alla quale uniformare i gusti, comportamento che
ubbidisce ai desideri feticistici del collezionista che mira a possedere la
rarità e per questo contribuisce a determinare un prezzo per le opere ed a
renderlo variabile, la Mail Art sfugge alla selezione mirando all’allargamento
della disponibilità delle opere, intese come contributi ad un insieme che sappia
rappresentare la capacità artistica dell’umanità in ogni momento ed in ogni
luogo, momento per momento luogo per luogo, ubbidendo ai principi della
documentazione e dell’archiviazione dei materiali che dimostri la creatività nel
suo divenire. Infatti, non sentirete mai parlare di “collezioni di Mail Art”, al
massimo di musei ma più facilmente di archivi. Questo non deve far pensare ad
una massa indistinta di materiali d’impossibile consultazione; i due esempi di
progetto che sono stati esposti nella prima parte dell’articolo, pur nella loro
estrema diversità, seguono comunque una stessa logica la quale, pur senza porre
termini precisi, tende a determinare il tipo dei lavori e di conseguenza dei
partecipanti. La conseguenza più immediata è stata una partecipazione più
limitata numericamente, molto legata agli specifici aspetti del tema e
sufficientemente differenziata negli interventi.
Rivista Equipèco
Una logica essenzialmente diversa segue invece il progetto “Due, molte, tante
mani per i diritti umani”, organizzato dalla rivista on line “Rivista di
Equipèco” per il Municipio IX del Comune di Roma. Il tema proposto, per quanto
abbia un peso morale equivalente a quello del progetto di Rignano ed una vastità
d’orizzonte paragonabile a quello di Tolentino, pone sicuramente meno problemi
di tipo interpretativo, poiché molto maggiori di numero ed intensità sono le
sollecitazioni dirette che riceviamo dalla stampa e dagli altri organi di
comunicazione, con la conseguenza di poter disporre di diversi suggerimenti e di
maggiori materiali utili alla creazione delle opere; questo, in sede finale di
progetto, porterà ad una partecipazione numericamente superiore, meno
differenziata nel tipo di interventi e probabilmente più univoca nelle
motivazioni, cose che renderanno il progetto più congeniale alla manifestazione
dalla quale è stato lanciato, che vede interessate parecchie associazioni
umanitarie. A sua volta l’esposizione, la proiezione in questo caso, potrà
maggiormente soddisfare le aspettative di un pubblico più folto ed eterogeneo
che in altri casi, e rendere di conseguenza la proposta delle opere più adatta
alla comunicazione.
Quindi si può dire che la Mail Art, pur senza che venga stabilito a priori ed
arbitrariamente alcun tipo di limiti, è in grado di fornire una grande quantità
di interventi che, in modo assolutamente autonomo, si presentano omogenei alle
caratteristiche del progetto che li ha sollecitati, costituendo così una serie
di materiali di più semplice consultazione e di più facile lettura.
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