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Prigionieri di un sogno
Immaginate di veder sottoporre ad un processo di plastificazione la fotografia
di quando eravate bambini.
La stessa
sensazione ho avuto davanti al pur doveroso cerimoniale osservato dai mezzi
d'informazione nei giorni successivi la morte di Lucio Battisti. Sopratutto per
lo stile, riconoscibile e stantio, già usato indifferentemente per Coppi,
Montale, Padre Pio, ieri, e che già mi aspetto uguale per Montanelli,
Wannamarchi, e forse anche Pippobaudo. Quello che dovrebbe essere un processo di
catalizzazione della memoria ne rischia invece la precipitazione.
Di lui io
voglio invece fissare l'immagine di un uomo schivo, con il preciso senso della
separazione fra esperienza artistica e vita privata; avaro, dicono, non certo
egoista nel darsi attraverso la sua opera, e molto ha dato, pur senza mai
concedersi all'immagine eclatante e totalizzante che tende a fare spettacolo di
ogni cosa indiscriminatamente; certamente ne avrebbe avuto la
possibilità, le opportunità e non solo, probabilmente ricevette pressioni in
questo senso: ma non fu così, non lo è stato, non lo è. Ciò nonostante egli ha
fatto palpitare e sospirare molti di noi, fornendoci di che infilare i grani del
rosario dei ricordi; proprio per questo io sono convinto che saremmo stati
tenuti a presentarci ordinatamente in fila a restituire le nostre coroncine,
senza le quali avremmo potuto continuare a vivere, se questo fosse servito a
ridare a quell'uomo ciò senza il quale egli non ha potuto invece continuare per
raggiungere un traguardo che potesse apparire più naturale, più consono al
nostro concetto di ordine naturale delle cose. Ma ciò non è stato possibile:
perciò possiamo continuare a stringerle nella mano, che forse nel frattempo si è
fatta umida di sudore, e riprendere incolonnati il lento passo che il Sig.
Battisti Lucio ha smesso di compiere.
Le canzoni
di Lucio Battisti si fondono particolarmente con la mia generazione; esse hanno
preso in egual misura non solo quelli che stavano su di una o sull'altra delle
barricate, ma anche quell'infinità di distinguo che stavano nel mezzo, fra i
quali coloro che per reggersi fidavano sull'assenza di vento o sulla spinta
delle correnti contrapposte e coloro che dal punto di vista emozionale erano a
volte impotenti o castrati. Forse per questo si disse di lui più di quanto egli
disse di sé stesso, e in molti casi a sproposito. Mi sembrarono lesive della mia
sensibilità le espressioni di certi francescani di sinistra che tendevano a
censurarlo come qualunquista-opportunista dedito esclusivamente
all'accumulazione attraverso i meccanismi di mercato, non meno di quelle degli
stalinisti di destra che cercavano di accaparrarselo accreditandolo come segreto
finanziatore dell'eversione reazionaria. Io non conosco né mi interessa
conoscere le scelte dell'uomo, ma certamente la sua figura artistica non stava
in questi parametri; lo possiamo vedere chiaramente attraverso il confronto con
altri personaggi della stessa epoca. Mi lasciarono un po' d'amaro anche certi
tentativi malriusciti di cabaret e certe prese di posizione di tipo
femminista riguardo i suoi testi e l'immagine femminile che proponevano, e non
importa che i testi non fossero suoi, era lui a presentarli al pubblico e stava
nei patti che fossero sue la maggior parte delle critiche come delle lodi. Resta
comunque un fatto che le sue canzoni hanno acceso tanto i fuochi montani di C.L.
quanto quelli marini della F.I.G.C. prima ancora che le loro note si spegnessero
sulle autoradio incolonnate degli altri; ed ancor oggi fanno discreta presa
tanto sui ragazzi pieni di borchie che appaiono eccessivamente motivati perfino
ai loro padri menager d'assalto, quanto sulle figlie delle donne
emancipate le quali, guardandole completamente depilate sotto i bragoni XXL,
rimpiangono i loro sottanoni. Chiuse nei piccoli fatti raccontati dalle canzoni,
quelle figure maschili e femminili, a volte un po' improbabili, sono tuttavia
ancora oggi inossidabili, senza pretendere di essere altro se non le semplici
marionette della fiaba che raccontano; non estranee ma lontane dalle simbologie
assolute, come lo è gettare in terra il biglietto del cinema dalle
responsabilità per l'inquinamento del pianeta. Ingenue o perfide, quelle
immagini femminili appaiono comunque meno distanti dalle femministe
extraparlamentari di allora che da quelle governative di oggi: ve la immaginate
la Turco con le calzette rosse?.
Vi è invece
un aspetto dell'attività di Lucio Battisti che non è stato considerato
abbastanza, né allora né oggi: mentre anche i complessi underground
cercavano di procurarsi riflettori ed impianti più potenti, per non restare
tagliati fuori; nel corso di trasmissioni televisive forse non proprio
"ufficiali", egli si presentava con la chitarra acustica, e con l'ausilio della
sola voce in presa diretta riproponeva il suo ultimo successo in una versione
differente da quella che, durante il grande teleshow di qualche sabato
prima, era passata in playback uguale a come era incisa sul disco che
veniva pubblicizzato in quel momento, per espresso interessamento dei
discografici; sappiamo quanto ci tenessero che le esecuzioni pubbliche
rispecchiassero fedelmente le incisioni. In questi suoi comportamenti, che non
erano parte della finzione scenica della canzone, nessuno ha mai saputo
riconoscere alcunché di simbolico né di esemplare, nessuno ha mai voluto;
nessuno gli ha mai riconosciuto il vantaggio della difficoltà.
Forse anche
per questo, oggi, dall'alto del Plurale di Maestà che unilateralmente ci
riconosciamo, vogliamo dedicare al musicista Lucio Battisti un coretto:
"Bella Lucio!
Vai che sei solo".
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